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Un'ossessione italiana: il BUROCRATESE

May 11, 2025

Note e risorse

In questo ti video spiego perché alcuni testi in italiano risultano così difficili da leggere, persino per i madrelingua: parleremo del linguaggio della burocrazia italiana e delle sue principali caratteristiche.

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Trascrizione

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C’è un aspetto curioso e bizzarro, quasi grottesco, e sicuramente irritante, della lingua italiana: la nostra ossessione per un linguaggio burocratico contorto e complicato, che fa uso di costruzioni e di termini antiquati e difficili. Una lingua che preferisce “obliterare il titolo di viaggio” a timbrare il biglietto” o che parla di “effettuare una comunicazione” al posto di “comunicare”, che aborre il verbo “andare”, perché, si sa, le persone coltesi recano” da qualche parte. Un linguaggio che usa parole e strutture antiquate e difficili, che confonde sia stranieri sia madrelingua, e che è così caratteristico in Italia da avere un nome: burocratese, la lingua della burocrazia, della pubblica amministrazione. Una varietà dell’italiano che nessuno usa nella vita reale… ma con cui chiunque viva in Italia deve fare i conti.

Trascrizione e glossario sul Podcast Italiano Club

Io mi chiamo Davide e questo è Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama l’italiano. Attiva i sottotitoli se ne hai bisogno, e ricorda che la trascrizione integrale con glossario è sul mio sito. Come sempre, ho preparato anche un PDF che riassume tutto quello che dico e lo integra con altri esempi e informazioni.

Puoi effettuare lo scaricamento del suddetto contenuto digitale mediante accesso telematico al collegamento ipertestuale previamente indicato, ovvero tramite l’inquadramento ottico del codice a risposta rapida ivi allegato.

Ci hai capito qualcosa?

Iniziamo da una storia. Per la precisione, la storia di David. Quale David? Non David e Golia, o Davide e Golia, ma qualcosa di simile: Davide …e la burocrazia.

David è un inglese che si è trasferito a Roma da poco e che ha scoperto di avere diritto all’assistenza gratuita di un “medico di base”, un medico di famiglia. I vicini di casa di David, anche loro stranieri ma che vivono a Roma già da molti anni, gli dicono di andare alla ASL Roma 2, e lui già non capisce questa misteriosa parola, ASL, cioè non sembra nemmeno italiana. Chiede spiegazioni, David, e i vicini gli dicono: ”Ma dai! L’ASL! L’Azienda Sanitaria Locale!”.

Ah! Ora è tutto più chiaro! …Azienda? Ma quale azienda? Ma non era gratis il medico?

Eddai, l’ASL… è tipo… un ospedale”, gli spiegano.

Ah, ecco, ospedale, questa parola David la conosce.

David arriva all’ASL. La stanza è affollata, deve prendere un numero e aspettare. Mentre aspetta, gli danno un modulo da compilare, dove legge:

Le persone possono esercitare il diritto di scelta nei riguardi di un medico tra quelli convenzionati con il Sistema Sanitario Regionale del proprio ambito comunale, purché non abbia superato il massimale di scelte, salvo particolari deroghe. Il cittadino può cambiare medico effettuando una nuova scelta rivolgendosi agli Sportelli di Medicina Generale del Distretto di residenza. Qualora il medico non intenda prestare la propria opera in favore di un assistito può ricusarlo, motivandone la revoca per iscritto.

Ora, David capisce l’italiano, normalmente, ha anche un buon livello, ma con questo testo fa molta fatica. Ci sono molte parole ed espressioni che non ha mai sentito, come “nei riguardi di”, “massimale”, “salvo”, “deroghe”, “ricusare”, “qualora”, “revoca”. Inoltre le frasi sono lunghe, piene di gerundi e come inscatolate le une nelle altre. David inizia ad avere paura: forse non avrà mai accesso a un medico.

Ma del medico David ha bisogno, quindi si fa coraggio e chiede aiuto a una signora anziana: “Mi scusi, Signora, può aiutarmi a capire cosa c’è scritto qui?”

La signora guarda David, poi guarda il foglio, poi risponde: “Seee, bello de nonna, e chi sa legge, io non so mica legge, sa! Ai tempi mia arrivavi alla quinta elementare, se eri fortunato! Mettici pure che io c’ho pure problemi alla cataratta, hai capito?”

David è ancora più confuso, si rivolge allora al signore alla sua sinistra, che gli spiega: “C’è scritto che puoi scegliere un medico tra quelli disponibili, cioè quelli che non hanno già troppi pazienti. Se il medico poi non ti piace, puoi sempre cambiarlo. Se tu non piaci al medico, è lui che può rifiutarti, ma deve scrivere perché”.

David, finalmente, capisce. Ringrazia, ma è subito colto da due paure: la prima, di non piacere al medico che, a quanto pare, può rifiutarlo; la seconda, di doversi scontrare con testi come quello in futuro, testi a cui non è abituato e che dicono in maniera difficile e contorta quello che potrebbe essere detto in maniera facile e lineare.

Questo è il primo incontro di David con il burocratese, il Golia linguistico di cui parleremo in questo video.

Il burocratese, o lingua della burocrazia, è una varietà dell’italiano molto diversa dalla lingua che usiamo tutti i giorni. Una varietà che tratta di argomenti molto importanti per la vita quotidiana di tutti i cittadini: i documenti personali, la salute, servizi come acqua, luce e gas, il trasporto pubblico, il pagamento delle tasse e così via. Proprio perché sono argomenti importanti, questa lingua dovrebbe essere chiara, precisa, diretta e comprensibile al pubblico più differenziato: giovani e anziani, persone più o meno istruite, parlanti nativi e stranieri. E invece, al contrario, la lingua della burocrazia risulta difficile, oscura, astratta, pomposa, spesso all’orecchio degli stessi italiani.

Ma quali sono le caratteristiche del burocratese? Eccone una lista di alcune delle caratteristiche principali.

  1. In generale, si preferisce il “vecchiume”, forme linguistiche vecchie, arcaiche e oggi poco usate. Per esempio: “la domanda può essere presentata online, ovvero presso gli sportelli del Comune” dove “ovvero” non si usa come “cioè”, come si userebbe oggi in italiano comune, ma ha il significato più antico di “o”, “oppure”, che oggi nessuno userebbe nella lingua parlata.
  2. Si preferisce la forma passiva a quella attiva. E quindi, al posto di  “l’ufficio ti invierà la risposta via email” si scrive: “la risposta verrà recapitata all’indirizzo di posta elettronica fornito dall’utente”.
  3. Si preferiscono nomi a verbi. Anzi, dovrei dire: è comune la preferenza di nomi in luogo di forme verbali. A volte questo si fa usando locuzioni, cioè espressioni composte da più parole, al posto di parole singole. E quindi “effettuare una scelta” invece di scegliere, “dare comunicazione” invece di “comunicare”.
  4. Si preferiscono parole tecniche e rare al posto di quelle comuni: recarsi invece di “andare”, interloquire invece di “parlare”, liquidità al posto di “denaro”, idoneo anziché “adatto”, obliterare il titolo di viaggio anziché “timbrare il biglietto”.
  5. Si inventano talvolta nuove parole, non necessarie, al posto di espressioni di uso comune: “relazionare” invece di “fare una relazione”, “disdettare” invece di “dare una disdetta”, “attività di controlleria” al posto di “controllo dei biglietti”.
  6. Si usano molto le forme impersonali: si ritiene, si dispone, si informa, si notifica; a volte anche con il si messo dopo il verbo, seguendo una costruzione grammaticale arcaica, e quindi dicesi, trattasi, vedasi (ma anche i comuni vendesi e affittasi che vediamo in tutte le città italiane).
  7. Si fa uso di termini stranieri e latini: de iure invece che “di diritto”, de facto al posto di “di fatto”, planning per “piano”, meeting per “riunione”; perché, a proposito, oggi il burocratese si sta ibridando con quell’altra brutta bestia che è l’itanglese, l’italiano infarcito di anglicismi, a cui ho dedicato vari video in passato.
  8. Si preferiscono i periodi lunghi, ricchi di frasi subordinate collegate da congiunzioni di registro alto e dal sapore letterario, come ancorché, ove, ivi, altresì. Ma che diavolo significano? A volte me lo chiedo anch’io.

Il linguaggio burocratico, insomma, tradisce la sua missione. Invece che parlare a tutti, parla a pochi, qualche volta a pochissimi. Non è un caso che lo scrittore Italo Calvino, nel 1965, lo abbia definito “anti-lingua inesistente”: una lingua che rifiuta ogni parola che abbia un significato chiaro e comprensibile, una lingua, insomma, che uccide la vera lingua. La sua caratteristica principale, secondo Calvino, è il “terrore semantico”, che porta a evitare qualsiasi parola che sia troppo espressiva o che abbia un significato chiaro, preferendo sempre parole vaghe, complicate, dal significato sfuggente. Consiglio di leggere, tra l’altro, la famosissima parodia che Calvino fa di questa anti-lingua.

E non è un caso che più tardi, nel 1981, il linguista Maurizio Dardano abbia sostenuto che la lingua della burocrazia viene utilizzata in Italia non per aiutare il lettore a comprendere, ma per sottolineare l’autorità di chi scrive, il suo potere: un fatto che non riguarda solo il burocratese, tra l’altro, ma anche altri linguaggi come il legalese, l’aziendalese o il medichese, la lingua dei medici. Un uso della lingua, dunque, tutt’altro che inclusivo e, al contrario, escludente: esclude chi non fa parte di quel gruppo di persone, di quella élite, che è in grado di comprenderlo e di produrlo. E a volte, anche, di farsi interpreti di quel linguaggio, un po’ come dei sacerdoti in contatto con la divinità.

Ma perché esiste il burocratese? E perché in Italia è così comune esprimersi in una maniera tanto arzigogolata, pomposa, contorta? Qui farò io delle ipotesi puramente personali, non le ho prese da fonti.

Una prima ragione potrebbe essere l’enorme (esagerato, a mio parere) prestigio della cultura umanistica e classica nella tradizione italiana: una cultura alta, letteraria, e che ha formato le élite del Paese. Per secoli, scrivere “bene” ha significato scrivere difficile, usare parole ricercate, antiche, espressioni colte, latine, periodi lunghi e complessi.

C’è poi, forse, un gusto tutto italiano per il barocco, per la decorazione. Una tendenza antica che affonda le radici nella nostra storia letteraria: la prosa italiana ha spesso guardato al passato, a modelli elevati e complessi, come quello della prosa di Boccaccio, fatto di periodi lunghi varie righe, sintassi contorta, incisi e frasi subordinate a gogò. Dopo tutto, in Italia, si considera più nobile tutto ciò che è antico. Come Paese, amiamo guardare al passato. Ciò che è vecchio, è meglio.

A partire dagli anni ‘90 si è cominciato a parlare di semplificazione del linguaggio amministrativo, e non solo a parlarne, ma anche ad agire concretamente, anche grazie ad alcuni linguisti che hanno prodotto manuali, direttive e guide che spiegavano, in maniera concreta, come evitare i mostri linguistici che abbiamo visto prima (anzi, dovrei dire “i mostri linguistici di cui sopra”).

Eppure, il burocratese non è mai veramente scomparso. Facciamo un altro esempio attuale: diciamo che sono un italiano che ha deciso di rientrare in Italia dopo aver vissuto alcuni anni all’estero, che vuole aprire un’attività economica e quindi, pensa un po’, pagare le tasse. Vado sul sito dell’Agenzia delle Entrate, perché mi hanno detto che posso avere delle agevolazioni fiscali e trovo questo:

Mi spavento un po', innanzitutto perché non sapevo di essere un “impatriato”, credevo al massimo di essere “rimpatriato”, parola molto più comune in italiano. Ma vabbè, fin qui la differenza è di una sola lettera. È chiaro. Poi mi blocco di fronte a “periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019”: ci penso e ci ripenso, ma non capisco che periodo è. Mi imbatto in un pronome, “esso”, che non vedevo dai tempi delle scuole elementari. Inoltre, mi dicono che esiste un lavoro “assimilato” a quello dipendente, ma non mi si spiega quale sia. Mi si dice “soggetto a tassazione” invece che “tassato”. Quando poi leggo che “per il periodo di prolungamento i redditi agevolati concorreranno alla formazione dell’imponibile per il 50% del loro ammontaremi arrendo e penso che, dopo tutto, all’estero non si sta così male. Sì, piove, magari non c’è la pizza margherita… però…

Per fortuna, però, esistono anche casi positivi. Diciamo che ora sono invece una donna italiana che ha a cuore la propria salute e che vuole fare prevenzione. Cerco informazioni in rete, e scopro di poter aderire a un programma di screening. Nonostante la chiamino screening, quando potrebbero anche chiamarla prevenzione, il messaggio è abbastanza chiaro.

Chi ha scritto questo testo aveva in mente l’importanza che la lettrice comprendesse cosa fare e perché, e per questo motivo ha evitato di esprimersi in altri modi, ad esempio, così:

In ottemperanza alle disposizioni in materia di prevenzione sanitaria, si rende noto che è stata prevista la possibilità, per la cittadinanza femminile rientrante nei parametri anagrafici stabiliti, di aderire volontariamente all’attività di screening mammografico, consistente nell’espletamento di un’indagine radiologica bilaterale del parenchima ghiandolare, da effettuarsi con cadenza annuale o biennale (a seconda della collocazione anagrafica dell’assistita), ai fini della tempestiva intercettazione di eventuali formazioni neoplastiche in fase pre-palpatoria, con conseguente attivazione di iter terapeutici…

BASTAAAAAAAA!

Il burocratese è ridicolo, ammettiamolo. Ma, così come dal letame nascono i fior, come cantava il cantautore Fabrizio De André, perfino dal burocratese può nascere una poesia. Un miracolo che riesce a un altro genovese, il poeta Edoardo Sanguineti, quando scrive:

Vengo, con la presente, a te,

per chiederti di esentarmi d'urgenza

dal comunicare, con te, per telefono:

(…)

perché, mia diletta, io non saprò mai

separare, stralciandole, le tue parole,

a parte dai tuoi gomiti, dai tuoi alluci,

dalle tue natiche, da tutta te:

da tutto me:

sola, la tua voce mi nuoce.

Cosa fa il poeta nei primi due versi? Usa un registro che spiazza il lettore, perché il burocratese è quanto di più lontano si possa immaginare dalla poesia d’amore; eppure, l’urgenza che l’uomo ha di incontrare fisicamente la donna amata è tale da portarlo a scrivere una richiesta formale, a esprimersi come se si stesse rivolgendo alla pubblica amministrazione. E il poeta può farlo, perché il poeta può fare ciò che vuole con la lingua: la lingua della poesia è anarchica. E in poesia perfino il burocratese può diventare bello.

Bene, siamo arrivati alla fine del video. Fammi sapere: com’è la situazione nel tuo Paese? Esiste il “burocratese” nella tua lingua? La situazione è così grave come da noi? Ti sei mai imbattuto, o imbattuta, nel burocratese, magari viaggiando o anche vivendo in Italia? Fammi sapere nei commenti. E ti ricordo che, qualora tu intenda procedere all’approfondimento individuale dei contenuti oggetto della presente trattazione audiovisiva, è stata predisposta, a tal fine, l’elaborazione di un documento di formato PDF… intendo dire, scarica il PDF, se vuoi, che è molto figo. Ciao.

C’è un aspetto curioso e bizzarro, quasi grottesco, e sicuramente irritante, della lingua italiana: la nostra ossessione per un linguaggio burocratico contorto e complicato, che fa uso di costruzioni e di termini antiquati e difficili. Una lingua che preferisce “obliterare il titolo di viaggio” a timbrare il biglietto” o che parla di “effettuare una comunicazione” al posto di “comunicare”, che aborre il verbo “andare”, perché, si sa, le persone coltesi recano” da qualche parte. Un linguaggio che usa parole e strutture antiquate e difficili, che confonde sia stranieri sia madrelingua, e che è così caratteristico in Italia da avere un nome: burocratese, la lingua della burocrazia, della pubblica amministrazione. Una varietà dell’italiano che nessuno usa nella vita reale… ma con cui chiunque viva in Italia deve fare i conti.

Trascrizione e glossario sul Podcast Italiano Club

Io mi chiamo Davide e questo è Podcast Italiano, un canale per chi impara o ama l’italiano. Attiva i sottotitoli se ne hai bisogno, e ricorda che la trascrizione integrale con glossario è sul mio sito. Come sempre, ho preparato anche un PDF che riassume tutto quello che dico e lo integra con altri esempi e informazioni.

Puoi effettuare lo scaricamento del suddetto contenuto digitale mediante accesso telematico al collegamento ipertestuale previamente indicato, ovvero tramite l’inquadramento ottico del codice a risposta rapida ivi allegato.

Ci hai capito qualcosa?

Iniziamo da una storia. Per la precisione, la storia di David. Quale David? Non David e Golia, o Davide e Golia, ma qualcosa di simile: Davide …e la burocrazia.

David è un inglese che si è trasferito a Roma da poco e che ha scoperto di avere diritto all’assistenza gratuita di un “medico di base”, un medico di famiglia. I vicini di casa di David, anche loro stranieri ma che vivono a Roma già da molti anni, gli dicono di andare alla ASL Roma 2, e lui già non capisce questa misteriosa parola, ASL, cioè non sembra nemmeno italiana. Chiede spiegazioni, David, e i vicini gli dicono: ”Ma dai! L’ASL! L’Azienda Sanitaria Locale!”.

Ah! Ora è tutto più chiaro! …Azienda? Ma quale azienda? Ma non era gratis il medico?

Eddai, l’ASL… è tipo… un ospedale”, gli spiegano.

Ah, ecco, ospedale, questa parola David la conosce.

David arriva all’ASL. La stanza è affollata, deve prendere un numero e aspettare. Mentre aspetta, gli danno un modulo da compilare, dove legge:

Le persone possono esercitare il diritto di scelta nei riguardi di un medico tra quelli convenzionati con il Sistema Sanitario Regionale del proprio ambito comunale, purché non abbia superato il massimale di scelte, salvo particolari deroghe. Il cittadino può cambiare medico effettuando una nuova scelta rivolgendosi agli Sportelli di Medicina Generale del Distretto di residenza. Qualora il medico non intenda prestare la propria opera in favore di un assistito può ricusarlo, motivandone la revoca per iscritto.

Ora, David capisce l’italiano, normalmente, ha anche un buon livello, ma con questo testo fa molta fatica. Ci sono molte parole ed espressioni che non ha mai sentito, come “nei riguardi di”, “massimale”, “salvo”, “deroghe”, “ricusare”, “qualora”, “revoca”. Inoltre le frasi sono lunghe, piene di gerundi e come inscatolate le une nelle altre. David inizia ad avere paura: forse non avrà mai accesso a un medico.

Ma del medico David ha bisogno, quindi si fa coraggio e chiede aiuto a una signora anziana: “Mi scusi, Signora, può aiutarmi a capire cosa c’è scritto qui?”

La signora guarda David, poi guarda il foglio, poi risponde: “Seee, bello de nonna, e chi sa legge, io non so mica legge, sa! Ai tempi mia arrivavi alla quinta elementare, se eri fortunato! Mettici pure che io c’ho pure problemi alla cataratta, hai capito?”

David è ancora più confuso, si rivolge allora al signore alla sua sinistra, che gli spiega: “C’è scritto che puoi scegliere un medico tra quelli disponibili, cioè quelli che non hanno già troppi pazienti. Se il medico poi non ti piace, puoi sempre cambiarlo. Se tu non piaci al medico, è lui che può rifiutarti, ma deve scrivere perché”.

David, finalmente, capisce. Ringrazia, ma è subito colto da due paure: la prima, di non piacere al medico che, a quanto pare, può rifiutarlo; la seconda, di doversi scontrare con testi come quello in futuro, testi a cui non è abituato e che dicono in maniera difficile e contorta quello che potrebbe essere detto in maniera facile e lineare.

Questo è il primo incontro di David con il burocratese, il Golia linguistico di cui parleremo in questo video.

Il burocratese, o lingua della burocrazia, è una varietà dell’italiano molto diversa dalla lingua che usiamo tutti i giorni. Una varietà che tratta di argomenti molto importanti per la vita quotidiana di tutti i cittadini: i documenti personali, la salute, servizi come acqua, luce e gas, il trasporto pubblico, il pagamento delle tasse e così via. Proprio perché sono argomenti importanti, questa lingua dovrebbe essere chiara, precisa, diretta e comprensibile al pubblico più differenziato: giovani e anziani, persone più o meno istruite, parlanti nativi e stranieri. E invece, al contrario, la lingua della burocrazia risulta difficile, oscura, astratta, pomposa, spesso all’orecchio degli stessi italiani.

Ma quali sono le caratteristiche del burocratese? Eccone una lista di alcune delle caratteristiche principali.

  1. In generale, si preferisce il “vecchiume”, forme linguistiche vecchie, arcaiche e oggi poco usate. Per esempio: “la domanda può essere presentata online, ovvero presso gli sportelli del Comune” dove “ovvero” non si usa come “cioè”, come si userebbe oggi in italiano comune, ma ha il significato più antico di “o”, “oppure”, che oggi nessuno userebbe nella lingua parlata.
  2. Si preferisce la forma passiva a quella attiva. E quindi, al posto di  “l’ufficio ti invierà la risposta via email” si scrive: “la risposta verrà recapitata all’indirizzo di posta elettronica fornito dall’utente”.
  3. Si preferiscono nomi a verbi. Anzi, dovrei dire: è comune la preferenza di nomi in luogo di forme verbali. A volte questo si fa usando locuzioni, cioè espressioni composte da più parole, al posto di parole singole. E quindi “effettuare una scelta” invece di scegliere, “dare comunicazione” invece di “comunicare”.
  4. Si preferiscono parole tecniche e rare al posto di quelle comuni: recarsi invece di “andare”, interloquire invece di “parlare”, liquidità al posto di “denaro”, idoneo anziché “adatto”, obliterare il titolo di viaggio anziché “timbrare il biglietto”.
  5. Si inventano talvolta nuove parole, non necessarie, al posto di espressioni di uso comune: “relazionare” invece di “fare una relazione”, “disdettare” invece di “dare una disdetta”, “attività di controlleria” al posto di “controllo dei biglietti”.
  6. Si usano molto le forme impersonali: si ritiene, si dispone, si informa, si notifica; a volte anche con il si messo dopo il verbo, seguendo una costruzione grammaticale arcaica, e quindi dicesi, trattasi, vedasi (ma anche i comuni vendesi e affittasi che vediamo in tutte le città italiane).
  7. Si fa uso di termini stranieri e latini: de iure invece che “di diritto”, de facto al posto di “di fatto”, planning per “piano”, meeting per “riunione”; perché, a proposito, oggi il burocratese si sta ibridando con quell’altra brutta bestia che è l’itanglese, l’italiano infarcito di anglicismi, a cui ho dedicato vari video in passato.
  8. Si preferiscono i periodi lunghi, ricchi di frasi subordinate collegate da congiunzioni di registro alto e dal sapore letterario, come ancorché, ove, ivi, altresì. Ma che diavolo significano? A volte me lo chiedo anch’io.

Il linguaggio burocratico, insomma, tradisce la sua missione. Invece che parlare a tutti, parla a pochi, qualche volta a pochissimi. Non è un caso che lo scrittore Italo Calvino, nel 1965, lo abbia definito “anti-lingua inesistente”: una lingua che rifiuta ogni parola che abbia un significato chiaro e comprensibile, una lingua, insomma, che uccide la vera lingua. La sua caratteristica principale, secondo Calvino, è il “terrore semantico”, che porta a evitare qualsiasi parola che sia troppo espressiva o che abbia un significato chiaro, preferendo sempre parole vaghe, complicate, dal significato sfuggente. Consiglio di leggere, tra l’altro, la famosissima parodia che Calvino fa di questa anti-lingua.

E non è un caso che più tardi, nel 1981, il linguista Maurizio Dardano abbia sostenuto che la lingua della burocrazia viene utilizzata in Italia non per aiutare il lettore a comprendere, ma per sottolineare l’autorità di chi scrive, il suo potere: un fatto che non riguarda solo il burocratese, tra l’altro, ma anche altri linguaggi come il legalese, l’aziendalese o il medichese, la lingua dei medici. Un uso della lingua, dunque, tutt’altro che inclusivo e, al contrario, escludente: esclude chi non fa parte di quel gruppo di persone, di quella élite, che è in grado di comprenderlo e di produrlo. E a volte, anche, di farsi interpreti di quel linguaggio, un po’ come dei sacerdoti in contatto con la divinità.

Ma perché esiste il burocratese? E perché in Italia è così comune esprimersi in una maniera tanto arzigogolata, pomposa, contorta? Qui farò io delle ipotesi puramente personali, non le ho prese da fonti.

Una prima ragione potrebbe essere l’enorme (esagerato, a mio parere) prestigio della cultura umanistica e classica nella tradizione italiana: una cultura alta, letteraria, e che ha formato le élite del Paese. Per secoli, scrivere “bene” ha significato scrivere difficile, usare parole ricercate, antiche, espressioni colte, latine, periodi lunghi e complessi.

C’è poi, forse, un gusto tutto italiano per il barocco, per la decorazione. Una tendenza antica che affonda le radici nella nostra storia letteraria: la prosa italiana ha spesso guardato al passato, a modelli elevati e complessi, come quello della prosa di Boccaccio, fatto di periodi lunghi varie righe, sintassi contorta, incisi e frasi subordinate a gogò. Dopo tutto, in Italia, si considera più nobile tutto ciò che è antico. Come Paese, amiamo guardare al passato. Ciò che è vecchio, è meglio.

A partire dagli anni ‘90 si è cominciato a parlare di semplificazione del linguaggio amministrativo, e non solo a parlarne, ma anche ad agire concretamente, anche grazie ad alcuni linguisti che hanno prodotto manuali, direttive e guide che spiegavano, in maniera concreta, come evitare i mostri linguistici che abbiamo visto prima (anzi, dovrei dire “i mostri linguistici di cui sopra”).

Eppure, il burocratese non è mai veramente scomparso. Facciamo un altro esempio attuale: diciamo che sono un italiano che ha deciso di rientrare in Italia dopo aver vissuto alcuni anni all’estero, che vuole aprire un’attività economica e quindi, pensa un po’, pagare le tasse. Vado sul sito dell’Agenzia delle Entrate, perché mi hanno detto che posso avere delle agevolazioni fiscali e trovo questo:

Mi spavento un po', innanzitutto perché non sapevo di essere un “impatriato”, credevo al massimo di essere “rimpatriato”, parola molto più comune in italiano. Ma vabbè, fin qui la differenza è di una sola lettera. È chiaro. Poi mi blocco di fronte a “periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019”: ci penso e ci ripenso, ma non capisco che periodo è. Mi imbatto in un pronome, “esso”, che non vedevo dai tempi delle scuole elementari. Inoltre, mi dicono che esiste un lavoro “assimilato” a quello dipendente, ma non mi si spiega quale sia. Mi si dice “soggetto a tassazione” invece che “tassato”. Quando poi leggo che “per il periodo di prolungamento i redditi agevolati concorreranno alla formazione dell’imponibile per il 50% del loro ammontaremi arrendo e penso che, dopo tutto, all’estero non si sta così male. Sì, piove, magari non c’è la pizza margherita… però…

Per fortuna, però, esistono anche casi positivi. Diciamo che ora sono invece una donna italiana che ha a cuore la propria salute e che vuole fare prevenzione. Cerco informazioni in rete, e scopro di poter aderire a un programma di screening. Nonostante la chiamino screening, quando potrebbero anche chiamarla prevenzione, il messaggio è abbastanza chiaro.

Chi ha scritto questo testo aveva in mente l’importanza che la lettrice comprendesse cosa fare e perché, e per questo motivo ha evitato di esprimersi in altri modi, ad esempio, così:

In ottemperanza alle disposizioni in materia di prevenzione sanitaria, si rende noto che è stata prevista la possibilità, per la cittadinanza femminile rientrante nei parametri anagrafici stabiliti, di aderire volontariamente all’attività di screening mammografico, consistente nell’espletamento di un’indagine radiologica bilaterale del parenchima ghiandolare, da effettuarsi con cadenza annuale o biennale (a seconda della collocazione anagrafica dell’assistita), ai fini della tempestiva intercettazione di eventuali formazioni neoplastiche in fase pre-palpatoria, con conseguente attivazione di iter terapeutici…

BASTAAAAAAAA!

Il burocratese è ridicolo, ammettiamolo. Ma, così come dal letame nascono i fior, come cantava il cantautore Fabrizio De André, perfino dal burocratese può nascere una poesia. Un miracolo che riesce a un altro genovese, il poeta Edoardo Sanguineti, quando scrive:

Vengo, con la presente, a te,

per chiederti di esentarmi d'urgenza

dal comunicare, con te, per telefono:

(…)

perché, mia diletta, io non saprò mai

separare, stralciandole, le tue parole,

a parte dai tuoi gomiti, dai tuoi alluci,

dalle tue natiche, da tutta te:

da tutto me:

sola, la tua voce mi nuoce.

Cosa fa il poeta nei primi due versi? Usa un registro che spiazza il lettore, perché il burocratese è quanto di più lontano si possa immaginare dalla poesia d’amore; eppure, l’urgenza che l’uomo ha di incontrare fisicamente la donna amata è tale da portarlo a scrivere una richiesta formale, a esprimersi come se si stesse rivolgendo alla pubblica amministrazione. E il poeta può farlo, perché il poeta può fare ciò che vuole con la lingua: la lingua della poesia è anarchica. E in poesia perfino il burocratese può diventare bello.

Bene, siamo arrivati alla fine del video. Fammi sapere: com’è la situazione nel tuo Paese? Esiste il “burocratese” nella tua lingua? La situazione è così grave come da noi? Ti sei mai imbattuto, o imbattuta, nel burocratese, magari viaggiando o anche vivendo in Italia? Fammi sapere nei commenti. E ti ricordo che, qualora tu intenda procedere all’approfondimento individuale dei contenuti oggetto della presente trattazione audiovisiva, è stata predisposta, a tal fine, l’elaborazione di un documento di formato PDF… intendo dire, scarica il PDF, se vuoi, che è molto figo. Ciao.

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