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Il dibattito intorno ai FEMMINILI PROFESSIONALI in italiano

September 9, 2020

Trascrizione

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Oggi parleremo di una delle questioni che riguardano la lingua italiana più dibattute negli ultimi anni, ovvero quella dei femminili professionali, il fenomeno per cui parole che designano lavori, cariche, ruoli tradizionalmente maschili vengono trasformate in parole femminili. Quindi da “sindaco” abbiamo “sindaca” e da “ministro” “ministra”.

Trascrizione PDF con glossario audio isolato (PI Club)


Prevedo che questo video non piacerà ad alcune persone, soprattutto alla minoranza di italiani che guarda i miei video, perché è un argomento che divide molto le persone. Quello che però chiedo a tutti è di cercare di avere una conversazione il più possibile matura, adulta e pacifica quale che sia la vostra opinione, che vi invito a condividere qui sotto.

Benvenuti su Podcast Italiano. Io mi chiamo Davide e questo è un canale per gli stranieri che imparano l’italiano, in teoria, anche se sempre più spesso faccio video che possono anche essere interessanti per italiani che capitano sul mio canale. Per il mio pubblico principale formato da stranieri questo video sarà piuttosto complicato a livello di lingua, però ritengo che sia un argomento interessante e spero che voi sarete d’accordo con me.

Di recente ho letto questo libro “Femminili singolari” scritto dalla sociolinguista Vera Gheno. Nonostante si tratti di un libro di linguistica è molto molto interessante, ben scritto, divertente e scorrevole, quindi ve lo consiglio caldamente. Il libro parla di femminili professionali. Ma che cos’è un femminile professionale? Un femminile professionale è una parola declinata al genere femminile che viene usata per indicare una donna che svolge una professione oppure ricopre una carica. I femminili professionali non sono una cosa nuova di per sé, nella lingua è pieno di femminili professionali: ‘la maestra’, ‘l’infermiera’, ‘l’attrice’, ‘la dottoressa’ e tantissimi altri. Queste parole esistono e sono comuni in italiano, perché indicano professioni che tradizionalmente sono svolte o principalmente da donne, oppure sia da uomini che da donne. Nella lingua convivono da tantissimo tempo il maschile e il femminile.

Il dibattito ruota attorno al fatto che sempre più spesso, dai media soprattutto, vengono utilizzati nuovi termini, nuovi femminili professionali che in passato non erano comuni come, per esempio, “sindaca” come la sindaca di Roma Virginia Raggi oppure “ministra”. Questi forse sono i più comuni, e ce ne sono anche di altri un po’ meno comuni secondo me come “architetta” o “ingegnera”.

E so che ad alcune persone soprattutto gli ultimi due suoneranno strani, ma perché è così? Perché non sono termini, diciamo, tradizionali, questi femminili professionali designano professioni che in passato erano riservate agli uomini. La lingua e il suo lessico sono alla fine uno specchio della società in cui viviamo e la nostra società nell’ultimo secolo, ma ancora adesso, è ed è stata attraversata da importanti cambiamenti sociali, culturali e... ed economici e ha visto le donne entrare in massa nel mondo del lavoro e svolgere sempre più frequentemente dei lavori che in passato facevano solamente gli uomini.

Ma se la società cambia velocemente la lingua è un po’ più conservatrice e lenta ad adattarsi. Oggi le avvocate, le sindache, le ministre sono qualcosa di assolutamente normale nella nostra società e alcuni pensano che sia corretto e più preciso rivolgersi a loro oppure parlare di loro utilizzando questi femminili, come ho fatto io, al posto di ciò che si faceva prima e si fa comunque ancora oggi, cioè usare il maschile sovraesteso, il maschile esteso anche alle donne, quindi dire “Maria è un avvocato”, “Francesca è il sindaco”. Il maschile sovraesteso tradizionalmente si è considerato un uso neutro. Tuttavia, è importante non considerare il maschile sovraesteso come un genere neutro o il genere neutro che esisteva in latino ma non esiste in italiano. Usare il maschile sovraesteso per riferirsi alle donne è un uso molto comune anche in altre lingue, però si tratta comunque di una convenzione.

La discussione sui femminili professionali è molto aspra e verbalmente molto violenta, soprattutto sui social, e questo perché questa questione non è esclusivamente linguistica, ma è anche sociale e culturale. È uno degli elementi del linguaggio inclusivo, un tipo di linguaggio che cerca di non discriminare le minoranze nella società. Nel nostro caso i femminili professionali sono sostenuti, per esempio, dal movimento femminista e quindi questa cosa dà fastidio a tante persone a cui non va a genio il movimento femminista.

Uno dei motivi principali per cui può avere senso iniziare a usare il femminile al posto del maschile sovraesteso quando parliamo di donne che fanno alcuni lavori o hanno certe cariche riguarda la nostra percezione. Chiamare al femminile una donna che fa un lavoro che in passato era svolto solamente o quasi esclusivamente dagli uomini è un modo di darle un... una maggiore visibilità attraverso la lingua, un modo di mutare la percezione della società. Qualche anno fa uno studio sul linguaggio inclusivo condotto in Francia ha dimostrato che esiste un effetto che questi termini hanno sulla nostra percezione. A mille persone intervistate è stato chiesto inizialmente di nominare due scrittori celebri e solamente al 12 per cento di loro è venuto in mente il nome di una scrittrice, di una donna. Poi quando è stato chiesto di nominare due scrittori o scrittrici il numero di persone che hanno pensato ad almeno una donna è aumentato e il risultato è lo stesso anche per altre professioni, quindi possiamo vedere che impiegare i femminili ha un qualche effetto su quello che nello studio francese chiamano “présence à l’esprit”, cioè la presenza in mente. È più facile che vengano in mente anche scrittrici se parliamo di scrittori e scrittrici. Altrimenti di default sentendo “scrittori” noi tendiamo a pensare a uomini.

Ciononostante, sentendo parlare di sindache, ministre, ingegnere, molti italiani, magari anche qualcuno che sta guardando questo video, si indignano, si arrabbiano e si scagliano contro i sostenitori dei femminili professionali sostenendo che si tratti di un uso inutile, di un uso brutto, di un uso che non serve e che è un affronto alla tradizione dell’italiano. Come però spiega Vera Gheno per poter partecipare alla discussione avendo un’opinione informata è bene tornare alle basi della grammatica italiana e vedere come funziona il genere grammaticale nella nostra lingua. In italiano quando una parola indica un oggetto inanimato come una sedia oppure un albero il suo genere è fondamentalmente... a caso. Dopotutto non c’è niente di femminile in una sedia, così come non c’è niente di intrinsecamente maschile in un albero. Un madrelingua inglese la cui lingua non ha né il maschile, né il femminile si trova piuttosto confuso quando deve imparare una lingua come la nostra o come lo spagnolo in cui c... in cui c’è il genere grammaticale. Perché alla fine che cos’ha la sedia di femminile e l’albero perché è maschio?

Vediamo però ora gli esseri animati. Per quanto riguarda gli esseri animati il genere grammaticale corrisponde al genere semantico, quindi effettivamente al sesso dell’animale oppure dell’essere umano. Le parole possono avere una forma maschile o femminile e si declinano in vari modi, non è che è solo -o, -a, ci sono vari modi che adesso vediamo insieme. È un sistema complesso e ci sono quattro categorie.

La prima è quella dei sostantivi di genere fisso che hanno quindi un maschile e un femminile che sono totalmente diversi, quindi:

bue – mucca
fratello – sorella
marito – moglie

e quindi questi non hanno niente a che vedere l’uno con l’altro.

Poi abbiamo i sostantivi di genere mobile in cui per formare il maschile e il femminile sia al singolare sia al plurale si usano desinenze diverse. E le desinenze sono tante, non solo -o – -a, -i – -e. Sì ,certo, c’è:

ragazzo — ragazza

ma poi abbiamo

signore – signora,
infermiere – infermiera,
attore – attrice,
studente — studentessa

e alcune anche più particolari come

re — regina

oppure
eroe –
eroina.

Poi abbiamo i sostantivi di genere comune che al singolare hanno una sola forma comune al maschile e al femminile e al plurale possono avere una o due forme.

“Il cantante” e “la cantante”,

al plurale qui abbiamo una sola forma “cantanti” e ciò che cambia è l’articolo,

“i cantanti e le cantanti”,

e anche l’aggettivo, quindi:

“i cantanti famosi” e “le cantanti famose”.

Diverso è il caso di parole che finiscono in -ista e -iatra. Abbiamo:

“il giornalista” e “la giornalista”,

una sola forma, ma l’articolo comunque cambia, e al plurale abbiamo due forme:

“i giornalisti” e “le giornaliste”.

Lo stesso vale per

il pediatra – la pediatra, i pediatri – le pediatre.

Attenzione! Il caso di giornalista e pediatra è interessante perché molte persone a cui i femminili professionali proprio non piacciono replicano dicendo: “Eh, però dobbiamo dire il giornalistO perché giornalista finisce con la -a, quindi è femminile”. Ma non è affatto femminile. Il giornalista e la pediatra sono nomi di genere comune, l’articolo comunque rimane al maschile, il pediatra, e la differenza riemerge al plurale, i giornalisti e le giornaliste, quindi è un’obiezione che non ha alcun senso dal punto di vista della grammatica italiana. Non è come usare un maschile sovraesteso per una donna perché se diciamo “un bravo avvocato” parlando di una donna stiamo utilizzando una parola al maschile e lo vediamo da “un”, lo vediamo da “bravo” e lo vediamo anche da “avvocato”.

Poi abbiamo i sostantivi di genere promiscuo in cui si utilizza una sola forma al singolare e al plurale sia per il maschile sia per il femminile ed è molto comune, per esempio, quando si parla di animali. Diciamo

“il delfino” o “il leopardo”

sempre al maschile.

“La tigre” e “la zebra”

sempre al femminile.

Per specificare il sesso biologico dobbiamo aggiungere “maschio” o “femmina”, quindi

“la tigre maschio”, “il leopardo femmina”

oppure

“il maschio della tigre” e “la femmina del leopardo”.

Ci sono anche nomi di genere promiscuo che si riferiscono a persone e sono quindi o solamente maschili come “il pedone” o “Il testimone” oppure solamente femminili come “la vittima” oppure “la persona” anche. C’è un numero limitato di parole che sono di genere promiscuo che designano professioni e che si usano al femminile anche anche quando si parla di uomini. Questa volta sono davvero così, non come “il pediatra” o “il tassista” che non sono femminili, sono maschili di genere comune. Mi riferisco a parole come “la guardia”, “la spia”, “la sentinella”. Infatti c’è chi dice: “Guardate, non diciamo mica ‘il guardio’, non diciamo mica ‘lo spio’. E quindi come la mettiamo?” Va detto che numericamente queste parole sono poche. Sono molte di meno rispetto ai maschili usati per le donne. Inoltre, un uomo che di professione fa la guardia probabilmente non si sente discriminato da.... da questo uso. Ma è anche vero che non tutte le donne si sentono discriminate dai termini maschili. Tuttavia, devo ammettere che non mi è chiara del tutto la posizione dei sostenitori di questi femminili professionali tra cui è anche quella dell’autrice per quanto riguarda queste parole come “la guardia”, “la sentinella”. Quindi se c’è qualcuno che ne sa più di me su questo può scrivere nei commenti.

Ecco, abbiamo visto come funziona il genere grammaticale in italiano. È un sistema abbastanza complesso. Un’idea falsa ma molto diffusa è che i femminili professionali si creino violando totalmente le regole dell’italiano volendo imporre un sistema binario -o – -a ma non è così, perché abbiamo visto che le desinenze sono tantissime e i femminili professionali si adattano alle desinenze che ci sono in italiano, rispettano la morfologia, cioè la grammatica, come si formano le parole in italiano, quindi possiamo avere parole di genere mobile, quindi abbiamo sindaco – sindaca, ingegnere – ingegnera (tra l’altro, “ingegnera” che sicuramente non piacerà a tante persone comunque rispetta la morfologia di “ingegnere”, perché è come “infermiere” e “cassiere”, la i è stata assimilata, diciamo, dalla “gn”) direttore o direttrice, eccetera eccetera. Oppure di genere comune il presidente – la presidente. E no, al contrario di quanto pensi... pensino alcune persone, non è necessario e nessuno vuole dire “la presidenta” in italiano, perché “il presidente” e “la presidente è come” il cantante” e la “cantante”, cioè genere comune. Il tassista – la tassista, i tassisti – le tassiste.

Non si può dire quindi che si tratti di uno stravolgimento della lingua italiana, perché la grammatica non viene stravolta, sicuramente si tratta di un’innovazione del lessico. Comunque, allo stato attuale delle cose e femminili professionali è innegabile che diano fastidio a tante persone. Ma perché è così? Beh, in generale è un po’ una tendenza dell’essere umano, quello [quella] di odiare i cambiamenti sia in generale sia i cambiamenti linguistici. Basta pensare in italiano oppure nelle lingue di ciascuno di noi quanto danno fastidio le parole che cambiano significato opure che vengono utilizzate secondo alcune persone in maniera impropria, scorretta.

In italiano c’è il famoso “piuttosto che” che viene utilizzato sempre più spesso come sinonimo di “o” e questo dà fastidio a tantissime persone e anche un po’ a me, a dire la verità. Si considera erroneamente che la lingua sia un monolite immutabile che è sempre stato così e sempre sarà così, uguale a come è oggi. Ma non è così. È nel DNA nella natura delle lingue, il cambiamento. Ribadisco però che si tratta non solamente di un problema linguistico, di cambiamento della lingua, di modi innovativi che danno fastidio alle persone ma anche di un cambiamento sociale.

Vediamo però nello specifico alcune delle critiche più comuni (non tutte, perché non ho tempo) e anche i contro-argomenti dell’autrice.

Queste forme spesso vengono tacciate di essere sgrammaticate ma abbiamo già visto che non è così. Queste forme rispettano la morfologia italiana. Si tratta sicuramente di forme nuove o inusuali ma sono assolutamente ben formate, come dicono linguisti, cioè sono formate secondo le regole della morfologia.

Ok, magari non sono sgrammaticati però dai, siamo seri, sono brutti, cioè, “ingegnera”, “ministra”, “sindaca”... cioè, sono cacofonici! Tuttavia, la bruttezza, dice Vera Gheno, è soggettiva in primo luogo e in secondo luogo non è un criterio sul quale ci basiamo quando scegliamo le parole che usiamo. Lo fanno magari i poeti, lo fanno magari gli scrittori, è un criterio importante nella letteratura, ma nella lingua di tutti i giorni noi utilizziamo parole che riteniamo utili, non per forza belle.

Terza critica: la polisemia, quindi i numerosi significati. Molte persone dicono: “Ok, ma se prendiamo una parola maschile e la facciamo diventare femminile, otteniamo una parola che ha già un significato e quindi questo non va bene”. Se prendiamo un portiere di calcio e lo decliniamo al femminile (oggi il calcio femminile sta acquisendo popolarità) abbiamo la portiera. Eh, ma la portiera è quella della macchina, quindi non si può... eccetto che... certo che si può! Abbiamo un sacco di parole nella lingua che hanno tanti significati e ciò non ci turba minimamente. Per fare un solo esempio, ma ce ne sarebbero tantissimi, se io dico “un grafico” posso intendere o una rappresentazione grafica di un fenomeno oppure una persona che fa il mestiere di grafico e lavora con Photoshop e software del genere, quindi esiste questo fenomeno, non ci turba normalmente, quindi portiera della macchina e portiera di calcio non è un problema, così come politica la disciplina e politica come una donna che si occupa di politica, non è grande problema.

Alcuni dicono: “Ma perché c’è tutto questo bisogno di specificare il genere di una carica? Cioè, perché dobbiamo per forza dire che la sindaca è una donna esplicitando il genere? Perché non possiamo vedere la carica come qualcosa di neutro? Non andiamo forse contro alla parità di genere creando tutte queste divisioni? Non dovremmo cercare di fare il contrario, avere una sola parola?” Beh, però abbiamo visto innanzitutto che se usiamo solamente il maschile di un termine di default tendiamo a pensare che ci stiamo riferendo a un uomo se storicamente e tradizionalmente quel lavoro lo facevano uomini. Magari è vero che le cariche sono un concetto neutro ma le persone che fanno i lavori o che ricoprono le cariche non sono qualcosa di neutro, sono esseri umani che sono donne, sono uomini e quindi si può anche argomentare che avrebbe senso dire “la sindaca”, così come nessuno di noi direbbe mai “il re Elisabetta” solamente perché la carica è qualcosa di neutro e quindi usiamo il maschile. No, non avrebbe senso.

Altre persone dicono: “Vabbè, ma chi se ne frega? I problemi sono ben altri”. E da qui il termine “benaltrismo”, ovvero sminuire un problema dicendo che dovremmo concentrarci su altre cose che sono molto più importanti. È una strategia adottata di solito quando non si ha una vera controargomentazione. Se è evidente che le donne hanno problemi più importanti e più gravosi da affrontare nella loro vita di tutti i giorni e nella loro vita in generale ciò non vuol dire che non possiamo affrontare o discutere di più questioni allo stesso tempo. Ovviamente hanno iniziato con i lavori. Vabbè ragazzi, devo finire il video, un po’ di pazienza se ci sono dei rumori. Le critiche più comuni ai femminili professionali non si limitano a queste. Ce ne sono tante altre, però per questioni di tempo vi devo rimandare al libro “Femminili Singolari” di Vera Gheno se vi interessa approfondire l’argomento. Per concludere, un punto molto importante su cui io sono d’accordo con l’autrice è che, come dice lei, questi femminili professionali non devono essere imposti alla popolazione e men che meno alle donne. Secondo lei non è nemmeno una battaglia da combattere, una crociata da... da portare avanti ma una... un tema di cui discutere, però avendo un’opinione informata che lei cerca di favorire scrivendo questo libro. Deve essere alla fine una scelta personale, perché oggi ci sono donne, probabilmente la maggioranza delle donne a cui non piacciono i femminili professionali. C’è chi dice “Io ho studiato per fare l’avvocato un sacco di tempo, un sacco di anni e voglio essere chiamata ‘avvocato’ e non ‘avvocata’”. Per queste donne utilizzare il maschile è un modo di mettersi alla pari con gli uomini ed è un’opinione legittima, un’opinione da rispettare. C’è però chi ritiene che la parità tra uomini e donne passi anche dalla parità linguistica e che quindi sia utile e sia anche più preciso indicare le donne utilizzando dei termini professionali al femminile. Io credo che sia giusto cercare di ascoltare tutti avendo un’opinione informata, sapendo come funziona la grammatica dell’italiano senza alzare barricate, senza insultarsi, senza cercare di voler imporre niente a chi non è d’accordo con noi. Come sempre, poi il destino della lingua è deciso dalle scelte che i suoi parlanti fanno ogni giorno. Quindi vedremo cosa succederà, però sicuramente è un fenomeno interessante che vale la pena di essere osservato. Siamo arrivati alla fine di un video lunghissimo. Spero ci sia ancora qualcuno a guardarlo, però vi faccio alcune domande. Se siete italiani che cosa ne pensate dei femminili professionali? Invece se siete stranieri voglio chiedervi: esiste un dibattito sul linguaggio inclusivo nella vostra lingua? O magari nello specifico sui femminili professionali? Che cosa si dice da voi? Fatemi sapere! Spero che vi sia piaciuto questo video, fatemi sapere se vi piacciono video basati su libri. Per me è stato molto complicato farlo, però penso di avere imparato io stesso molto. Spero di aver detto cose giuste, di non aver detto troppe stupidaggini. Come sempre, un ringraziamento a tutte le persone nel mio Podcast Italiano Club che sostengono questo progetto e ottengono contenuti esclusivi per ogni video e l’episodio del podcast che produco. Grazie davvero e alla prossima! Ciao!

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