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    Pinocchio e il Teatro di Figura: come l’Italia dà vita all’inanimato

    Intermedio
    #
    58

    December 8, 2025

    Note e risorse

    In questo episodio di livello intermedio, scopriamo il mondo affascinante del teatro dei burattini e delle marionette italiano, esplorando maschere celebri come Arlecchino, Pulcinella, Pantalone e Rugantino, e il loro legame con Pinocchio.

    Scopri Dentro l'Italia - Corso di italiano avanzato (C1)

    Trascrizione

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    “C’era una volta un pezzo di legno”.

    Così comincia una delle storie più famose della letteratura italiana: Pinocchio. Non con un eroe, non con un uomo comune, ma con un pezzo di legno: qualcosa di povero, umile. E, come nella migliore tradizione italiana, proprio da ciò che è umile nasce la magia. Perché l’Italia è anche questo: un Paese che trova la magia e crea arte dalla semplicità. Perché prima ancora di diventare un “bambino vero”, Pinocchio è un burattino. E in Italia i burattini non sono solo giocattoli o intrattenimento per bambini: sono personaggi spesso antichi, che vengono usati per rappresentare storie, usanze, dialetti, e stereotipi della società italiana. Sono specchi, spesso deformati, spesso esagerati, ma comunque specchi della nostra società.

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    Trascrizione interattiva dell'episodio

    Certo, Pinocchio è un’opera antica, nasce nel 1881, ma altro non è che l’erede letterario più famoso di un mondo teatrale già vivo da secoli, il Teatro di figura. Immagina un teatro senza attori in carne e ossa. Immagina, piuttosto, personaggi fatti di legno o di stoffa. Personaggi che non camminano e non parlano da soli, grazie alla magia come Pinocchio, ma che prendono vita grazie alle mani, alla voce e alla fantasia di qualcuno che li gestisce da sopra o sotto il palco. Questo è il teatro di figura: un mondo dove burattini e marionette diventano i protagonisti di famosissime storie italiane. E questa tradizione, di dare voce al legno, all’immaginazione, di dare vita all’inanimato, per secoli ha intrattenuto e animato piazze, fiere e strade italiane. Perché il burattino di Collodi è, in realtà, il discendente più famoso di una tradizione tutta italiana di cui parleremo oggi, una lunga tradizione di figure che rappresentano, commentano, ironizzano e raccontano periodi storici e stereotipi della società italiana nel tempo.

    Io sono Irene e questo è Podcast Italiano, un podcast che ti aiuta a migliorare il tuo italiano attraverso contenuti autentici e interessanti che trattano la cultura e la società italiana. Prima di iniziare, ti ricordo che questo episodio, come tutti gli episodi, è accompagnato da una trascrizione, parola per parola, di tutto l’episodio, e da un glossario, che presenta tutte le parole più difficili di questo testo, spiegate in italiano e tradotte in inglese; troverai inoltre anche la spiegazione delle strutture grammaticali più difficili che userò. Sia la trascrizione che il glossario sono risorse molto utili per chi sta studiando o vuole imparare l’italiano senza sforzo. Trovi il link a tutte queste risorse in descrizione, o sul sito podcastitaliano.com , nella sezione “podcast intermedio”. Ti ricordo che queste risorse sono tutte gratis. Approfittane.

    Torniamo a noi. Oggi parleremo di tutto un po’. Parleremo dei significati che i burattini, le marionette e le maschere teatrali italiane hanno avuto nel corso della storia, di cosa rappresentano e di come riflettono la società e la cultura del loro tempo, proprio come, in un certo senso, fa Pinocchio. Partiamo proprio da Pinocchio. Prima di tutto, qualora non conoscessi la storia di Pinocchio, cosa che dubito, visto che è fra le opere più tradotte e amate in tutto il mondo, praticamente ai livelli della Bibbia, te la racconto brevemente.

    Pinocchio è un burattino di legno creato da un ciocco di legno, un pezzo di legno magico, dal falegname Geppetto. Quindi Pinocchio, anche se è fatto di legno, si comporta come un essere umano, in quanto si muove da solo, cammina, parla, dorme e mangia; insomma, è un burattino con l’animo di un bambino, vivace, curioso e spesso disobbediente, che dice un sacco di bugie e ogni volta gli cresce il naso, e che sogna di diventare un bambino vero, in carne ed ossa. Durante le sue avventure, incontra tanti personaggi fantastici, alcuni buoni e altri cattivi, come il Gatto e la Volpe, la Fata Turchina, e il Grillo Parlante. Pinocchio, nel corso della storia, vive tante avventure e disavventure: arriva al paese dei Balocchi, un luogo apparentemente meraviglioso che però poi si rivela essere una sorta di prigione, poi rischia di trasformarsi in un asino, e viene anche inghiottito da un pescecane. In generale, la storia è speciale perché Pinocchio, oltre ad essere molto simpatico è anche un simbolo di crescita, educazione e formazione morale: attraverso errori, prove e punizioni, impara valori come il lavoro, lo studio, l’onestà e la generosità. È una fiaba educativa, ma anche un racconto universale sulle difficoltà di diventare “grandi” e responsabili.

    Soprattutto quando, come Pinocchio, non si vuole crescere, non si vuole sottostare a delle regole. Pinocchio è uno spirito libero, curioso, che vive alla giornata e vuole fare solo quello che gli va. E questo è un problema, perché purtroppo il mondo in cui vive, e in cui viviamo noi, non funziona così. Anzi, ci sono tante regole da seguire per non finire nel caos, e se non si rispettano le regole, arriva puntuale la punizione.  Eppure il nostro eroe resiste, non si arrende mai, e riesce sempre a trovare una soluzione ai suoi problemi e a vincere le disavventure.

    Ma, a questo punto, che c’entra Pinocchio, che è un’opera letteraria, con il teatro dei burattini di cui ti parlavo prima?

    Beh, oltre al fatto che ogni spettacolo teatrale, anche uno spettacolo di burattini o marionette, nasce da un copione, da un’opera letteraria come Pinocchio, e che Pinocchio, nell’opera, è un burattino (o marionetta), dettaglio inequivocabile, c’entra eccome. Perché, proprio come la maggior parte dei burattini famosi della tradizione italiana, Pinocchio non è solo un personaggio: è un simbolo. E capire cosa simboleggia non è facile o immediato: bisogna conoscere un po’ il periodo storico e le abitudini dell’Italia di quel tempo.

    Quando Collodi pubblica Le avventure di Pinocchio nel 1881, l’Italia è un Paese giovanissimo: c’era appena stata l’Unità d’Italia, nel 1861, quindi l’Italia, come Paese unito, aveva solo vent’anni. C’era stata l’Unità, certo, ma la maggior parte della popolazione era analfabeta, i dialetti erano più forti della lingua nazionale, dell’italiano, le differenze tra Nord e Sud erano enormi, la scuola era una conquista ancora fragilissima, e l’identità italiana… praticamente non esisteva.

    E allora Collodi fa una scelta geniale: non racconta la storia di un principe, né di un eroe; racconta un burattino. Pinocchio rappresenta il pubblico target dell’epoca, perché comunque ricordiamoci che Pinocchio è letteratura dell’infanzia, cioè nasce per intrattenere i bambini, ok? Quindi i bambini che in quel periodo storico leggevano (o non leggevano, magari ascoltavano) la storia di Pinocchio, che era povero, smarrito, confuso, ribelle, senza un’educazione stabile, proprio come loro, potevano immedesimarsi, potevano ritrovarsi, rivedersi in quel personaggio, vivace e ribelle, un po’ analfabeta, ok? Ma Pinocchio, col suo corpo di legno, rappresenta anche qualcos’altro. Rappresenta un’Italia “rigida”, “di legno”, povera, grezza, ma piena di potenzialità. Un Paese che deve ancora imparare a camminare, a parlare, a comportarsi da “nazione”. Un Paese “incompiuto”, che non è nato del tutto, che sogna un’identità stabile, che spesso inciampa e prende la strada sbagliata, proprio come Pinocchio prima di diventare umano. Ovviamente questa è solo un’interpretazione, Collodi non ha mai detto “Pinocchio rappresenta l’Italia”, ma così funziona la letteratura, no? Con le diverse interpretazioni.

    Ecco, se Pinocchio rappresenta l’Italia e il suo pubblico target, possiamo vedere una connessione diretta con un grande campo del teatro italiano: quello dei burattini e delle marionette, anche chiamato Teatro di figura. Veniamo subito al punto. Così come Pinocchio non è un semplice ciocco di legno, neanche i burattini e le marionette lo sono. Sono piuttosto veri e propri protagonisti del teatro italiano, accanto a tanti attori, capaci di far emozionare il pubblico, di farlo ridere e riflettere.

    Immagina di essere in una sala. Davanti a te c’è un piccolo teatro. Ma davvero piccolo! Il sipario è chiuso. Dietro questo piccolo teatro, un burattinaio (ovvero la persona che muove i burattini) infila la mano dentro un pupazzo di stoffa. Questo pupazzo ha una testa, delle mani, vestiti colorati e magari una maschera. Non cammina da solo, non parla da solo, ma appena il sipario si apre e il burattinaio muove la mano, tutto cambia: il pupazzo prende vita. Il pubblico accanto a te ride, applaude, si emoziona. Questo è il cuore del teatro dei burattini: dare vita all’inanimato, trasformare il legno e la stoffa in personaggi, in attori.

    La storia delle marionette e dei burattini in Italia è antichissima: già nel Medioevo e nel Rinascimento venivano usate non solo per intrattenere il pubblico, ma anche per insegnare o raccontare storie religiose. Già nel 1500 marionette e burattini erano famosi nelle strade italiane: i venditori li usavano per attirare clienti o raccontare piccole storie. Poi, con il tempo, i burattini divennero protagonisti di veri e propri spettacoli, con copioni, scenografie e musica. Le compagnie teatrali percorrevano città e Paesi, e i bambini e gli adulti si accalcavano per vedere spettacoli con personaggi famosi in tutta Italia.

    Innanzitutto capiamo la differenza tra burattini e marionette: i burattini sono di stoffa o carta, le marionette di solito di legno, ma possono essere anche di stoffa. Le marionette vengono mosse dal marionettista, mentre i burattini dal burattinaio. La differenza è semplice: il burattinaio muove i burattini dal basso, infilando la mano dentro il pupazzo. Questa tecnica permette movimenti immediati e un linguaggio diretto, comico e ironico, perfetto per far ridere il pubblico; il marionettista invece muove le marionette dall’alto, tirando i fili collegati alla testa, alle braccia, e alle gambe della marionetta. Il lavoro del marionettista è molto preciso: deve controllare che il corpo della marionetta sia in equilibrio e deve coordinare movimenti molto complessi, come camminare, girarsi o addirittura ballare. Una marionetta può sembrare “viva” solo grazie alla sensibilità e alla tecnica del suo marionettista.

    Spesso, negli spettacoli, sia i burattini che le marionette rappresentano e rappresentavano delle maschere particolarmente famose italiane. Che cosa sono le maschere? Occhio, perché questa è una parola dai mille significati! Ci sono ovviamente le maschere di paura, le maschere di Carnevale, le maschere di bellezza… ma, nel teatro italiano, le maschere sono personaggi stereotipati, cioè rappresentazioni esagerate e simboliche di stereotipi, di diversi tipi di persona. Ora, la maschera è un personaggio con una sua personalità, ok? Quindi ogni attore poteva interpretare una maschera. Era proprio come indossare una maschera, quindi possiamo dire, per rendere più chiaro il concetto, che una maschera è un ruolo specifico di un personaggio stereotipato. Ok? Un po’ come il maggiordomo oggi, che è una maschera, cioè in ogni film o serie tv magari è britannico, anziano, bacchettone. Ok? Ecco immaginiamo ora che ogni maggiordomo di ogni film si chiami Richard. Abbiamo appena creato una maschera. A questo punto Richard diventa un personaggio onnipresente, sempre presente nei film o nelle serie tv, e presenta sempre le stesse caratteristiche, a prescindere dall’attore che lo interpreta.

    Lo stesso succede da centinaia di anni in Italia. E qui entriamo nel cuore del nostro discorso: i burattini e le marionette, che di solito interpretano delle maschere, non solo, ma soprattutto, non sono solo pupazzi. Sono specchi della società. La maggior parte delle volte rappresentano degli stereotipi italiani specifici, ok? Ora ti parlo delle maschere italiane più famose che vengono sempre usate negli spettacoli di burattini e marionette. Vediamo se già le hai sentite, se già le conosci. Ti premetto che, se stai usando la nostra trascrizione, per ogni maschera troverai nelle note la foto di un burattino o di una marionetta che la rappresenta, ok?

    Iniziamo da Arlecchino, che è probabilmente la maschera italiana più famosa. Nata nel 500 a Bergamo e poi adottata dai veneziani, Arlecchino nasce come caricatura, cioè come rappresentazione esagerata dello “Zanni” bergamasco, ovvero lo stereotipo del servo, del contadino povero che di solito, al Nord, si chiamava Gianni, quindi in dialetto, accento del Nord, “Zanni”. Arlecchino è quindi un servo, ed è un servo imbroglione, cerca sempre di imbrogliare il suo padrone, ed è furbo ma a volte anche ingenuo, è sempre in cerca di cibo e denaro ma difficilmente riesce ad ottenerli. Indossa sempre una maschera nera e un cappello bianco. La maschera nera è un po’ inquietante, così come quella che dovrebbe essere l’origine del suo nome. Il nome Arlecchino ha origine germanica e dovrebbe derivare da Holleking, che significa Re dell’Inferno, termine da cui deriva anche Harley Quinn, il nome della compagna di Joker. Il personaggio di Arlecchino però non è spaventoso, anzi, è molto simpatico e colorato. È vestito di stoffa rattoppata, cioè di pezzi di stoffe diverse, di diversi colori, cuciti insieme, un abito che suggerisce povertà e improvvisazione. Arlecchino rappresenta il servo, il contadino, l’artigiano povero: insomma, la parte più umile della società italiana del Rinascimento e dei secoli anche precedenti. Rappresenta l’uomo che vive alla giornata, che si arrangia. Il dialetto che parla, la sua povertà, il suo pensiero, sono tutti fattori abbastanza familiari al pubblico, almeno della sua epoca. Per gli italiani di oggi, non sono più, chiaramente, tanto familiari. Certo è che poi Arlecchino è comunque un’esagerazione, deve far ridere, ok? Quindi non rappresenta fedelmente una classe sociale precisa nel senso politico o economico moderno, ma simboleggia i giovani poveri e laboriosi della Venezia del Cinquecento, un’epoca in cui servitù e piccoli mestieri erano molto comuni.

    Come Arlecchino, tante altre maschere italiane incarnano stereotipi regionali e sociali. Pulcinella, per esempio, una maschera napoletana amatissima, nata a inizio 600, è proprio l'emblema del teatro dei burattini e delle marionette. La cosa interessante è che la sua personalità varia molto tra i diversi tipi di teatro. In generale Pulcinella è la maschera più iconica della commedia dell'arte napoletana, e il suo carattere è ricco di sfumature e contraddizioni. Però, mentre a teatro è, similmente ad Arlecchino, un servo o contadino pigro e vorace, sempre affamato, sempre alla ricerca di cibo e farebbe qualsiasi cosa per un piatto di maccheroni, il Pulcinella burattino o marionetta è invece più eroico. Specialmente nelle guarattelle, ovvero gli spettacoli di burattini e marionette napoletani, dove è sempre il protagonista assoluto, che affronta e sconfigge tutti i suoi avversari. In generale, comunque, Pulcinella è un personaggio abbastanza ironico e sfrontato, che non ha paura di prendere in giro i potenti e di svelare i retroscena della società. È anche chiacchierone e opportunista, e rappresenta tanto i difetti quanto le qualità del popolo napoletano: è comico e tragico allo stesso tempo, capace di far ridere e riflettere, è un personaggio affidabile ma anche arrogante, quindi rappresenta al meglio la gente comune napoletana del suo periodo, spesso povera ma unica, e con un grande spirito.

    Un’altra maschera molto famosa è Pantalone, maschera veneziana di metà 500 che rappresenta lo stereotipo dell’epoca del vecchio mercante veneziano lussurioso e ricco ma avaro, tirchio, che ha sempre attaccato alla cinta un sacchetto pieno di soldi, gobbo, che sta sempre piegato sul tavolo a contare i soldi. Ovviamente incarna la borghesia emergente del Rinascimento, anche se, come tutte le maschere, in modo esagerato e caricaturale, e mette in luce tutti i loro comportamenti negativi: avidità, egoismo, ossessione per il denaro, paura della povertà. Il suo stesso nome richiama lo stereotipo, perché all’epoca, le famiglie agiate, cioè ricche, della Serenissima Repubblica di Venezia chiamavano i figli maschi Pantaleone (da qui, Pantalone). Il pubblico ride dei suoi difetti, ma allo stesso tempo impara indirettamente una morale: Pantalone è la caricatura di ciò che si vuole evitare, di ciò che non vogliamo assolutamente essere.

    Un’altra maschera degna di menzione è il Dottor Balanzone, una maschera bolognese del 500 che rappresenta il classico avvocato azzeccagarbugli, cioè un avvocato che usa un linguaggio forbito e ricco di latinismi, che è saccente, presuntuoso, pedante, insomma… un saputello… ma che parla parla e poi non dice niente. Il suo nome deriva dal termine dialettale bolognese “balanza”, cioè bilancia, il simbolo della giustizia nei tribunali. È un uomo dalle guance rosse, grandi baffi, e una grossa pancia. Gesticola molto e indossa un costume che ricorda l'abito dei professori dell'Università di Bologna: toga nera, colletto e polsini bianchi, un gran cappello alla bolognese, giacca e mantello nero. Come già detto, è pignolo, cavilloso, per lui ogni scusa è buona per iniziare uno dei suoi infiniti discorsi senza senso. È sempre pronto a vantarsi dei suoi titoli, dice di conoscere ogni campo della scienza, ma poi parla in maniera noiosa e prolissa, e non arriva mai al punto. Questa maschera è interessante perché è una sorta di satira, di critica ironica al mondo accademico e alle figure di potere culturale che non sempre sanno applicare il sapere alla vita reale.

    Infine, una maschera ancora molto attuale, posso dire, da romana, è Rugantino, la maschera più famosa del teatro romano, che nasce nel 700. Rugantino impersona un personaggio romanesco, il bullo di Roma, specialmente di Trastevere, un giovane arrogante e strafottente che però, sotto sotto, è una brava persona. La sua caratteristica principale è l’arroganza, che in Romano sarebbe l’aruganza, termine da cui viene appunto il suo nome, Rugantino. Inizialmente, Rugantino doveva essere la caricatura di un gendarme o, paradossalmente, del capo di una banda di ladri. Nel corso degli anni questa maschera però è finita per rappresentare il giovane bullo di quartiere, che vi assicuro, ancora esiste nel 2025. Oggi, però, in romano, non lo chiamiamo Rugantino, lo chiamiamo coatto. Quindi Rugantino assumeva gli atteggiamenti del duro, bravo a minacciare, insomma bravo con le parole ma pavido, cioè timoroso, pauroso, nei fatti. Un personaggio, di nuovo, ancora molto attuale oggi.

    Quindi abbiamo Arlecchino e Pulcinella che rappresentano la classe popolare del 500 e del 600 bergamasca e napoletana. Poi abbiamo Pantalone che invece rappresenta la borghesia veneziana del 500. Balanzone che rappresenta i finti intellettuali bolognesi del 500, praticamente dei sofisti moderni. Abbiamo Rugantino, che interpreta il bullo, il coatto di Roma dal 700… a oggi, direi. E il pubblico, quando andava a vedere questi spettacoli, sia con attori veri o con burattini e marionette, si ritrovava in questi personaggi. Proprio come i bambini che leggevano o ascoltavano qualcuno leggere Pinocchio si immedesimavano nel burattino povero, ribelle, vivace e curioso, gli adulti che andavano a vedere gli spettacoli con queste maschere, per loro estremamente attuali, ridevano delle avventure del servo o del mercante tirchio. Magari si rivedevano in loro. I personaggi di narrativa, di romanzi, di film, di spettacoli teatrali, di spettacoli di burattini e marionette devono riflettere ciò che il pubblico conosce, desidera o teme. Ciò in cui si riconosce o in cui potrebbe riconoscersi. Le sue paure, i suoi desideri, i suoi piani, la sua quotidianità.

    E, a questo punto, se il pubblico si riconosce nei personaggi e nelle vicende, lo spettacolo diventa un ottimo strumento per veicolare messaggi, nel tempo e nello spazio. Per veicolare una morale, che trascende ogni censura. Soprattutto in quei periodi in cui la maggior parte della popolazione non sapeva né leggere né scrivere, erano proprio gli spettacoli e i personaggi a educare, a trasmettere valori, a rappresentare i desideri e i difetti del popolo. Quello che era giusto e quello che era sbagliato, le conseguenze delle azioni, le responsabilità. Così come fa Collodi attraverso Pinocchio: attraverso le conseguenze delle sue marachelle, dei suoi errori, delle sue bugie e disavventure, trasmette valori come la disciplina, l’onestà, il rispetto, la responsabilità, la generosità.

    Ma ora smetto di parlare e lascio la parola a te. Nel tuo Paese esistono delle maschere, come i nostri Arlecchino, Pulcinella o Rugantino? Se sì, come si chiamano? Conoscevi queste maschere? Tra l’altro non ti ho detto che probabilmente tutti gli italiani, almeno una volta nella vita, a Carnevale, si sono mascherati da Arlecchino a un certo punto. È uno dei costumi di carnevale più diffusi. Forse anche Pinocchio. Conoscevi la storia di Pinocchio, a proposito? Aspetto i tuoi commenti, se non sai cosa scrivere o non te la senti, magari non sei pronto o pronta a scrivere, basta anche una bella emoji, per farci sapere che hai ascoltato il podcast e che lo hai apprezzato. Magari un’emoji a tema… teatro, Pinocchio o burattini! Io ti saluto, grazie per l’ascolto, e alla prossima. Ciao!

    “C’era una volta un pezzo di legno”.

    Così comincia una delle storie più famose della letteratura italiana: Pinocchio. Non con un eroe, non con un uomo comune, ma con un pezzo di legno: qualcosa di povero, umile. E, come nella migliore tradizione italiana, proprio da ciò che è umile nasce la magia. Perché l’Italia è anche questo: un Paese che trova la magia e crea arte dalla semplicità. Perché prima ancora di diventare un “bambino vero”, Pinocchio è un burattino. E in Italia i burattini non sono solo giocattoli o intrattenimento per bambini: sono personaggi spesso antichi, che vengono usati per rappresentare storie, usanze, dialetti, e stereotipi della società italiana. Sono specchi, spesso deformati, spesso esagerati, ma comunque specchi della nostra società.

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    Trascrizione interattiva dell'episodio

    Certo, Pinocchio è un’opera antica, nasce nel 1881, ma altro non è che l’erede letterario più famoso di un mondo teatrale già vivo da secoli, il Teatro di figura. Immagina un teatro senza attori in carne e ossa. Immagina, piuttosto, personaggi fatti di legno o di stoffa. Personaggi che non camminano e non parlano da soli, grazie alla magia come Pinocchio, ma che prendono vita grazie alle mani, alla voce e alla fantasia di qualcuno che li gestisce da sopra o sotto il palco. Questo è il teatro di figura: un mondo dove burattini e marionette diventano i protagonisti di famosissime storie italiane. E questa tradizione, di dare voce al legno, all’immaginazione, di dare vita all’inanimato, per secoli ha intrattenuto e animato piazze, fiere e strade italiane. Perché il burattino di Collodi è, in realtà, il discendente più famoso di una tradizione tutta italiana di cui parleremo oggi, una lunga tradizione di figure che rappresentano, commentano, ironizzano e raccontano periodi storici e stereotipi della società italiana nel tempo.

    Io sono Irene e questo è Podcast Italiano, un podcast che ti aiuta a migliorare il tuo italiano attraverso contenuti autentici e interessanti che trattano la cultura e la società italiana. Prima di iniziare, ti ricordo che questo episodio, come tutti gli episodi, è accompagnato da una trascrizione, parola per parola, di tutto l’episodio, e da un glossario, che presenta tutte le parole più difficili di questo testo, spiegate in italiano e tradotte in inglese; troverai inoltre anche la spiegazione delle strutture grammaticali più difficili che userò. Sia la trascrizione che il glossario sono risorse molto utili per chi sta studiando o vuole imparare l’italiano senza sforzo. Trovi il link a tutte queste risorse in descrizione, o sul sito podcastitaliano.com , nella sezione “podcast intermedio”. Ti ricordo che queste risorse sono tutte gratis. Approfittane.

    Torniamo a noi. Oggi parleremo di tutto un po’. Parleremo dei significati che i burattini, le marionette e le maschere teatrali italiane hanno avuto nel corso della storia, di cosa rappresentano e di come riflettono la società e la cultura del loro tempo, proprio come, in un certo senso, fa Pinocchio. Partiamo proprio da Pinocchio. Prima di tutto, qualora non conoscessi la storia di Pinocchio, cosa che dubito, visto che è fra le opere più tradotte e amate in tutto il mondo, praticamente ai livelli della Bibbia, te la racconto brevemente.

    Pinocchio è un burattino di legno creato da un ciocco di legno, un pezzo di legno magico, dal falegname Geppetto. Quindi Pinocchio, anche se è fatto di legno, si comporta come un essere umano, in quanto si muove da solo, cammina, parla, dorme e mangia; insomma, è un burattino con l’animo di un bambino, vivace, curioso e spesso disobbediente, che dice un sacco di bugie e ogni volta gli cresce il naso, e che sogna di diventare un bambino vero, in carne ed ossa. Durante le sue avventure, incontra tanti personaggi fantastici, alcuni buoni e altri cattivi, come il Gatto e la Volpe, la Fata Turchina, e il Grillo Parlante. Pinocchio, nel corso della storia, vive tante avventure e disavventure: arriva al paese dei Balocchi, un luogo apparentemente meraviglioso che però poi si rivela essere una sorta di prigione, poi rischia di trasformarsi in un asino, e viene anche inghiottito da un pescecane. In generale, la storia è speciale perché Pinocchio, oltre ad essere molto simpatico è anche un simbolo di crescita, educazione e formazione morale: attraverso errori, prove e punizioni, impara valori come il lavoro, lo studio, l’onestà e la generosità. È una fiaba educativa, ma anche un racconto universale sulle difficoltà di diventare “grandi” e responsabili.

    Soprattutto quando, come Pinocchio, non si vuole crescere, non si vuole sottostare a delle regole. Pinocchio è uno spirito libero, curioso, che vive alla giornata e vuole fare solo quello che gli va. E questo è un problema, perché purtroppo il mondo in cui vive, e in cui viviamo noi, non funziona così. Anzi, ci sono tante regole da seguire per non finire nel caos, e se non si rispettano le regole, arriva puntuale la punizione.  Eppure il nostro eroe resiste, non si arrende mai, e riesce sempre a trovare una soluzione ai suoi problemi e a vincere le disavventure.

    Ma, a questo punto, che c’entra Pinocchio, che è un’opera letteraria, con il teatro dei burattini di cui ti parlavo prima?

    Beh, oltre al fatto che ogni spettacolo teatrale, anche uno spettacolo di burattini o marionette, nasce da un copione, da un’opera letteraria come Pinocchio, e che Pinocchio, nell’opera, è un burattino (o marionetta), dettaglio inequivocabile, c’entra eccome. Perché, proprio come la maggior parte dei burattini famosi della tradizione italiana, Pinocchio non è solo un personaggio: è un simbolo. E capire cosa simboleggia non è facile o immediato: bisogna conoscere un po’ il periodo storico e le abitudini dell’Italia di quel tempo.

    Quando Collodi pubblica Le avventure di Pinocchio nel 1881, l’Italia è un Paese giovanissimo: c’era appena stata l’Unità d’Italia, nel 1861, quindi l’Italia, come Paese unito, aveva solo vent’anni. C’era stata l’Unità, certo, ma la maggior parte della popolazione era analfabeta, i dialetti erano più forti della lingua nazionale, dell’italiano, le differenze tra Nord e Sud erano enormi, la scuola era una conquista ancora fragilissima, e l’identità italiana… praticamente non esisteva.

    E allora Collodi fa una scelta geniale: non racconta la storia di un principe, né di un eroe; racconta un burattino. Pinocchio rappresenta il pubblico target dell’epoca, perché comunque ricordiamoci che Pinocchio è letteratura dell’infanzia, cioè nasce per intrattenere i bambini, ok? Quindi i bambini che in quel periodo storico leggevano (o non leggevano, magari ascoltavano) la storia di Pinocchio, che era povero, smarrito, confuso, ribelle, senza un’educazione stabile, proprio come loro, potevano immedesimarsi, potevano ritrovarsi, rivedersi in quel personaggio, vivace e ribelle, un po’ analfabeta, ok? Ma Pinocchio, col suo corpo di legno, rappresenta anche qualcos’altro. Rappresenta un’Italia “rigida”, “di legno”, povera, grezza, ma piena di potenzialità. Un Paese che deve ancora imparare a camminare, a parlare, a comportarsi da “nazione”. Un Paese “incompiuto”, che non è nato del tutto, che sogna un’identità stabile, che spesso inciampa e prende la strada sbagliata, proprio come Pinocchio prima di diventare umano. Ovviamente questa è solo un’interpretazione, Collodi non ha mai detto “Pinocchio rappresenta l’Italia”, ma così funziona la letteratura, no? Con le diverse interpretazioni.

    Ecco, se Pinocchio rappresenta l’Italia e il suo pubblico target, possiamo vedere una connessione diretta con un grande campo del teatro italiano: quello dei burattini e delle marionette, anche chiamato Teatro di figura. Veniamo subito al punto. Così come Pinocchio non è un semplice ciocco di legno, neanche i burattini e le marionette lo sono. Sono piuttosto veri e propri protagonisti del teatro italiano, accanto a tanti attori, capaci di far emozionare il pubblico, di farlo ridere e riflettere.

    Immagina di essere in una sala. Davanti a te c’è un piccolo teatro. Ma davvero piccolo! Il sipario è chiuso. Dietro questo piccolo teatro, un burattinaio (ovvero la persona che muove i burattini) infila la mano dentro un pupazzo di stoffa. Questo pupazzo ha una testa, delle mani, vestiti colorati e magari una maschera. Non cammina da solo, non parla da solo, ma appena il sipario si apre e il burattinaio muove la mano, tutto cambia: il pupazzo prende vita. Il pubblico accanto a te ride, applaude, si emoziona. Questo è il cuore del teatro dei burattini: dare vita all’inanimato, trasformare il legno e la stoffa in personaggi, in attori.

    La storia delle marionette e dei burattini in Italia è antichissima: già nel Medioevo e nel Rinascimento venivano usate non solo per intrattenere il pubblico, ma anche per insegnare o raccontare storie religiose. Già nel 1500 marionette e burattini erano famosi nelle strade italiane: i venditori li usavano per attirare clienti o raccontare piccole storie. Poi, con il tempo, i burattini divennero protagonisti di veri e propri spettacoli, con copioni, scenografie e musica. Le compagnie teatrali percorrevano città e Paesi, e i bambini e gli adulti si accalcavano per vedere spettacoli con personaggi famosi in tutta Italia.

    Innanzitutto capiamo la differenza tra burattini e marionette: i burattini sono di stoffa o carta, le marionette di solito di legno, ma possono essere anche di stoffa. Le marionette vengono mosse dal marionettista, mentre i burattini dal burattinaio. La differenza è semplice: il burattinaio muove i burattini dal basso, infilando la mano dentro il pupazzo. Questa tecnica permette movimenti immediati e un linguaggio diretto, comico e ironico, perfetto per far ridere il pubblico; il marionettista invece muove le marionette dall’alto, tirando i fili collegati alla testa, alle braccia, e alle gambe della marionetta. Il lavoro del marionettista è molto preciso: deve controllare che il corpo della marionetta sia in equilibrio e deve coordinare movimenti molto complessi, come camminare, girarsi o addirittura ballare. Una marionetta può sembrare “viva” solo grazie alla sensibilità e alla tecnica del suo marionettista.

    Spesso, negli spettacoli, sia i burattini che le marionette rappresentano e rappresentavano delle maschere particolarmente famose italiane. Che cosa sono le maschere? Occhio, perché questa è una parola dai mille significati! Ci sono ovviamente le maschere di paura, le maschere di Carnevale, le maschere di bellezza… ma, nel teatro italiano, le maschere sono personaggi stereotipati, cioè rappresentazioni esagerate e simboliche di stereotipi, di diversi tipi di persona. Ora, la maschera è un personaggio con una sua personalità, ok? Quindi ogni attore poteva interpretare una maschera. Era proprio come indossare una maschera, quindi possiamo dire, per rendere più chiaro il concetto, che una maschera è un ruolo specifico di un personaggio stereotipato. Ok? Un po’ come il maggiordomo oggi, che è una maschera, cioè in ogni film o serie tv magari è britannico, anziano, bacchettone. Ok? Ecco immaginiamo ora che ogni maggiordomo di ogni film si chiami Richard. Abbiamo appena creato una maschera. A questo punto Richard diventa un personaggio onnipresente, sempre presente nei film o nelle serie tv, e presenta sempre le stesse caratteristiche, a prescindere dall’attore che lo interpreta.

    Lo stesso succede da centinaia di anni in Italia. E qui entriamo nel cuore del nostro discorso: i burattini e le marionette, che di solito interpretano delle maschere, non solo, ma soprattutto, non sono solo pupazzi. Sono specchi della società. La maggior parte delle volte rappresentano degli stereotipi italiani specifici, ok? Ora ti parlo delle maschere italiane più famose che vengono sempre usate negli spettacoli di burattini e marionette. Vediamo se già le hai sentite, se già le conosci. Ti premetto che, se stai usando la nostra trascrizione, per ogni maschera troverai nelle note la foto di un burattino o di una marionetta che la rappresenta, ok?

    Iniziamo da Arlecchino, che è probabilmente la maschera italiana più famosa. Nata nel 500 a Bergamo e poi adottata dai veneziani, Arlecchino nasce come caricatura, cioè come rappresentazione esagerata dello “Zanni” bergamasco, ovvero lo stereotipo del servo, del contadino povero che di solito, al Nord, si chiamava Gianni, quindi in dialetto, accento del Nord, “Zanni”. Arlecchino è quindi un servo, ed è un servo imbroglione, cerca sempre di imbrogliare il suo padrone, ed è furbo ma a volte anche ingenuo, è sempre in cerca di cibo e denaro ma difficilmente riesce ad ottenerli. Indossa sempre una maschera nera e un cappello bianco. La maschera nera è un po’ inquietante, così come quella che dovrebbe essere l’origine del suo nome. Il nome Arlecchino ha origine germanica e dovrebbe derivare da Holleking, che significa Re dell’Inferno, termine da cui deriva anche Harley Quinn, il nome della compagna di Joker. Il personaggio di Arlecchino però non è spaventoso, anzi, è molto simpatico e colorato. È vestito di stoffa rattoppata, cioè di pezzi di stoffe diverse, di diversi colori, cuciti insieme, un abito che suggerisce povertà e improvvisazione. Arlecchino rappresenta il servo, il contadino, l’artigiano povero: insomma, la parte più umile della società italiana del Rinascimento e dei secoli anche precedenti. Rappresenta l’uomo che vive alla giornata, che si arrangia. Il dialetto che parla, la sua povertà, il suo pensiero, sono tutti fattori abbastanza familiari al pubblico, almeno della sua epoca. Per gli italiani di oggi, non sono più, chiaramente, tanto familiari. Certo è che poi Arlecchino è comunque un’esagerazione, deve far ridere, ok? Quindi non rappresenta fedelmente una classe sociale precisa nel senso politico o economico moderno, ma simboleggia i giovani poveri e laboriosi della Venezia del Cinquecento, un’epoca in cui servitù e piccoli mestieri erano molto comuni.

    Come Arlecchino, tante altre maschere italiane incarnano stereotipi regionali e sociali. Pulcinella, per esempio, una maschera napoletana amatissima, nata a inizio 600, è proprio l'emblema del teatro dei burattini e delle marionette. La cosa interessante è che la sua personalità varia molto tra i diversi tipi di teatro. In generale Pulcinella è la maschera più iconica della commedia dell'arte napoletana, e il suo carattere è ricco di sfumature e contraddizioni. Però, mentre a teatro è, similmente ad Arlecchino, un servo o contadino pigro e vorace, sempre affamato, sempre alla ricerca di cibo e farebbe qualsiasi cosa per un piatto di maccheroni, il Pulcinella burattino o marionetta è invece più eroico. Specialmente nelle guarattelle, ovvero gli spettacoli di burattini e marionette napoletani, dove è sempre il protagonista assoluto, che affronta e sconfigge tutti i suoi avversari. In generale, comunque, Pulcinella è un personaggio abbastanza ironico e sfrontato, che non ha paura di prendere in giro i potenti e di svelare i retroscena della società. È anche chiacchierone e opportunista, e rappresenta tanto i difetti quanto le qualità del popolo napoletano: è comico e tragico allo stesso tempo, capace di far ridere e riflettere, è un personaggio affidabile ma anche arrogante, quindi rappresenta al meglio la gente comune napoletana del suo periodo, spesso povera ma unica, e con un grande spirito.

    Un’altra maschera molto famosa è Pantalone, maschera veneziana di metà 500 che rappresenta lo stereotipo dell’epoca del vecchio mercante veneziano lussurioso e ricco ma avaro, tirchio, che ha sempre attaccato alla cinta un sacchetto pieno di soldi, gobbo, che sta sempre piegato sul tavolo a contare i soldi. Ovviamente incarna la borghesia emergente del Rinascimento, anche se, come tutte le maschere, in modo esagerato e caricaturale, e mette in luce tutti i loro comportamenti negativi: avidità, egoismo, ossessione per il denaro, paura della povertà. Il suo stesso nome richiama lo stereotipo, perché all’epoca, le famiglie agiate, cioè ricche, della Serenissima Repubblica di Venezia chiamavano i figli maschi Pantaleone (da qui, Pantalone). Il pubblico ride dei suoi difetti, ma allo stesso tempo impara indirettamente una morale: Pantalone è la caricatura di ciò che si vuole evitare, di ciò che non vogliamo assolutamente essere.

    Un’altra maschera degna di menzione è il Dottor Balanzone, una maschera bolognese del 500 che rappresenta il classico avvocato azzeccagarbugli, cioè un avvocato che usa un linguaggio forbito e ricco di latinismi, che è saccente, presuntuoso, pedante, insomma… un saputello… ma che parla parla e poi non dice niente. Il suo nome deriva dal termine dialettale bolognese “balanza”, cioè bilancia, il simbolo della giustizia nei tribunali. È un uomo dalle guance rosse, grandi baffi, e una grossa pancia. Gesticola molto e indossa un costume che ricorda l'abito dei professori dell'Università di Bologna: toga nera, colletto e polsini bianchi, un gran cappello alla bolognese, giacca e mantello nero. Come già detto, è pignolo, cavilloso, per lui ogni scusa è buona per iniziare uno dei suoi infiniti discorsi senza senso. È sempre pronto a vantarsi dei suoi titoli, dice di conoscere ogni campo della scienza, ma poi parla in maniera noiosa e prolissa, e non arriva mai al punto. Questa maschera è interessante perché è una sorta di satira, di critica ironica al mondo accademico e alle figure di potere culturale che non sempre sanno applicare il sapere alla vita reale.

    Infine, una maschera ancora molto attuale, posso dire, da romana, è Rugantino, la maschera più famosa del teatro romano, che nasce nel 700. Rugantino impersona un personaggio romanesco, il bullo di Roma, specialmente di Trastevere, un giovane arrogante e strafottente che però, sotto sotto, è una brava persona. La sua caratteristica principale è l’arroganza, che in Romano sarebbe l’aruganza, termine da cui viene appunto il suo nome, Rugantino. Inizialmente, Rugantino doveva essere la caricatura di un gendarme o, paradossalmente, del capo di una banda di ladri. Nel corso degli anni questa maschera però è finita per rappresentare il giovane bullo di quartiere, che vi assicuro, ancora esiste nel 2025. Oggi, però, in romano, non lo chiamiamo Rugantino, lo chiamiamo coatto. Quindi Rugantino assumeva gli atteggiamenti del duro, bravo a minacciare, insomma bravo con le parole ma pavido, cioè timoroso, pauroso, nei fatti. Un personaggio, di nuovo, ancora molto attuale oggi.

    Quindi abbiamo Arlecchino e Pulcinella che rappresentano la classe popolare del 500 e del 600 bergamasca e napoletana. Poi abbiamo Pantalone che invece rappresenta la borghesia veneziana del 500. Balanzone che rappresenta i finti intellettuali bolognesi del 500, praticamente dei sofisti moderni. Abbiamo Rugantino, che interpreta il bullo, il coatto di Roma dal 700… a oggi, direi. E il pubblico, quando andava a vedere questi spettacoli, sia con attori veri o con burattini e marionette, si ritrovava in questi personaggi. Proprio come i bambini che leggevano o ascoltavano qualcuno leggere Pinocchio si immedesimavano nel burattino povero, ribelle, vivace e curioso, gli adulti che andavano a vedere gli spettacoli con queste maschere, per loro estremamente attuali, ridevano delle avventure del servo o del mercante tirchio. Magari si rivedevano in loro. I personaggi di narrativa, di romanzi, di film, di spettacoli teatrali, di spettacoli di burattini e marionette devono riflettere ciò che il pubblico conosce, desidera o teme. Ciò in cui si riconosce o in cui potrebbe riconoscersi. Le sue paure, i suoi desideri, i suoi piani, la sua quotidianità.

    E, a questo punto, se il pubblico si riconosce nei personaggi e nelle vicende, lo spettacolo diventa un ottimo strumento per veicolare messaggi, nel tempo e nello spazio. Per veicolare una morale, che trascende ogni censura. Soprattutto in quei periodi in cui la maggior parte della popolazione non sapeva né leggere né scrivere, erano proprio gli spettacoli e i personaggi a educare, a trasmettere valori, a rappresentare i desideri e i difetti del popolo. Quello che era giusto e quello che era sbagliato, le conseguenze delle azioni, le responsabilità. Così come fa Collodi attraverso Pinocchio: attraverso le conseguenze delle sue marachelle, dei suoi errori, delle sue bugie e disavventure, trasmette valori come la disciplina, l’onestà, il rispetto, la responsabilità, la generosità.

    Ma ora smetto di parlare e lascio la parola a te. Nel tuo Paese esistono delle maschere, come i nostri Arlecchino, Pulcinella o Rugantino? Se sì, come si chiamano? Conoscevi queste maschere? Tra l’altro non ti ho detto che probabilmente tutti gli italiani, almeno una volta nella vita, a Carnevale, si sono mascherati da Arlecchino a un certo punto. È uno dei costumi di carnevale più diffusi. Forse anche Pinocchio. Conoscevi la storia di Pinocchio, a proposito? Aspetto i tuoi commenti, se non sai cosa scrivere o non te la senti, magari non sei pronto o pronta a scrivere, basta anche una bella emoji, per farci sapere che hai ascoltato il podcast e che lo hai apprezzato. Magari un’emoji a tema… teatro, Pinocchio o burattini! Io ti saluto, grazie per l’ascolto, e alla prossima. Ciao!

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