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Storia della televisione italiana

Intermedio
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53

June 29, 2025

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Note e risorse

In questo episodio di livello intermedio, ripercorriamo la storia della televisione italiana dalle prime trasmissioni sperimentali degli anni '30 fino all'era delle piattaforme streaming.

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Trascrizione

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Bentornato o bentornata a un nuovo episodio di Podcast Italiano, un podcast per imparare l'italiano attraverso contenuti interessanti. L’episodio di oggi è imperdibile: faremo un viaggio nel tempo alla scoperta della storia della televisione italiana. La televisione, questa scatola magica: un mezzo che non ha solo intrattenuto l’Italia, ma anche formato, unito e raccontato l’intera nazione. Dall’arrivo dei primi televisori in bianco e nero fino a quello delle piattaforme digitali dei nostri giorni, la televisione ha avuto un ruolo centrale nella costruzione dell’identità italiana. Oggi ripercorriamo una storia fatta di alti e bassi, di nomi e volti famosissimi, di programmi che hanno segnato un’epoca, e di ricordi condivisi da un’Italia riunita davanti allo schermo.

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Trascrizione interattiva dell'episodio

Ma prima di iniziare… c’è un’offerta imperdibile per tutti gli amanti dell’italiano! Hai appena iniziato ad ascoltare Podcast Italiano e sei preoccupato perché hai paura di non capire o non conoscere le parole che sentirai nell’episodio? Beh, noi abbiamo la soluzione: con la nostra trascrizione, accompagnata da un glossario, imparerai e capirai tutte le parole difficili che useremo in questo episodio. La trascrizione è gratuita, facile da usare e disponibile subito, con un semplice click! Vai nelle note dell’episodio, sull’app che stai usando per ascoltarci e, voilà, troverai il link ad aspettarti. Non lasciartela scappare: è completamente gratis! E ricorda: chi studia con dedizione, usa la trascrizione!

Davide: Irene, se mi permetti, devo dire una cosa importante ai nostri studenti. Sono appena tornato da un viaggio di due settimane in Andalusia, in Spagna (stupenda, a proposito), e questo viaggio mi ha fatto ricordare quanto sia bello sapere la lingua del posto quando viaggi. Che sia parlare con gli amici (se hai amici nel posto; un saluto al mio amico Antonio), ma anche solo chiedere indicazioni, fare due chiacchiere con le guide turistiche, con i camerieri: tutte cose che ti permettono davvero di vivere un’esperienza molto più ricca, più autentica e divertente, almeno secondo me. E meglio parli, più ti godi l’esperienza. Quale può essere il problema? Il problema può essere che forse anche tu, che mi stai ascoltando, come tanti, sei in questa situazione: quando ascolti questi podcast (o altri contenuti) ti senti un fenomeno e capisci tutto, o quasi, ma poi quando parli ti blocchi, fai fatica e ti demoralizzi.

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Partiamo con la prima tappa del nostro viaggio nel tempo, alla scoperta della storia della televisione italiana: tutto comincia negli anni ‘30, in un’Italia molto diversa da quella di oggi, quando ancora c’era il regime fascista. Siamo nella seconda metà degli anni Trenta. In Italia c’è il fascismo, al potere già dal 1922. Benito Mussolini governa il Paese con un regime autoritario, in poche parole con una dittatura, in cui ogni forma di comunicazione, dai giornali al cinema, dalla radio ai manifesti per strada, è controllata dallo Stato. Lo scopo è semplice: plasmare le menti degli italiani, convincerli che il fascismo è la strada giusta. In questo contesto nasce l’EIAR, l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche, praticamente l’organizzazione che gestisce tutte le trasmissioni radio italiane. Non esistono radio libere o private: c’è solo l’EIAR, e trasmette solo ciò che è autorizzato dal regime fascista. Infatti, nel 1935, una legge stabilisce che tutti i programmi radio devono passare sotto il controllo del regime fascista, affinché vengano controllati e approvati come “coerenti” con la propaganda del regime. La radio è il mezzo di comunicazione più potente dell’epoca. La televisione è ancora un sogno tecnologico, quasi fantascientifico, ma la radio è già ovunque: nelle case, nelle scuole, nei bar, nelle piazze. Mussolini la usa per fare i suoi discorsi al popolo, e si aspetta che tutti ne abbiano una.

Nel 1939, l’EIAR comincia a fare esperimenti con la televisione, prima a Torino e poi a Roma e Milano. Non esistevano ancora i programmi televisivi come li conosciamo oggi, si trattava infatti di test tecnici: inizialmente si trasmettevano solo immagini e piccoli spettacoli, in bianco e nero e di pessima qualità. Alla fine degli anni Trenta, però, le trasmissioni sperimentali si fanno più serie. Nascono i primi programmi con un vero e proprio palinsesto, cioè un calendario di appuntamenti organizzati, proprio come quello dei canali TV di oggi. Le trasmissioni, seppur limitate e ancora in fase di test, iniziano ad assomigliare a quelle della televisione moderna. Ma la televisione non è ancora uno strumento popolare diffuso: i televisori sono rari, costosissimi, e solo pochissime persone possono permetterseli. Non a caso, tra i primi luoghi ad avere una TV ci sono Villa Torlonia (la residenza privata di Mussolini) e i Palazzi Vaticani: la televisione era, infatti, anche simbolo di potere e ricchezza. Le trasmissioni, comunque, venivano trasmesse soltanto in alcune città del nord e del centro Italia, soprattutto a Roma, Torino e Milano, dove vengono installate le prime antenne private. A raccontare tutto questo c’era il Radiocorriere, una rivista che pubblicava ogni settimana i programmi radio e TV. È grazie a queste pubblicazioni che oggi possiamo ricostruire ciò che è successo.

Comunque, questo sogno futuristico dura pochissimo. Arriviamo alla seconda tappa del nostro viaggio: il 31 maggio del 1940, giorno in cui, proprio quando la TV sembrava ormai avviata, il governo ordina l’interruzione immediata di tutte le trasmissioni televisive. La motivazione ufficiale? Si parla di “interferenze con i sistemi di navigazione aerea”, ma, in realtà, dietro quella decisione, c’è qualcosa di più grande: l’Italia sta per entrare in guerra, nella Seconda Guerra Mondiale, e ogni energia, economica e industriale, deve concentrarsi sulla guerra. Le industrie che stavano costruendo televisori si convertono alla produzione di armi, radio militari e apparecchi bellici, mentre i bombardamenti della guerra distruggono tutti gli archivi dell’EIAR, cioè le registrazioni, i copioni, i palinsesti e i documenti delle prime trasmissioni televisive italiane. Tutto va perduto, ed è come se quella prima televisione italiana non fosse mai esistita. Durante l’occupazione tedesca dell’Italia, anche gli impianti tecnici di Roma vengono smontati e trasportati in Germania. I nazisti portano via tutto: trasmettitori, antenne, strumenti. Ma quegli stessi strumenti, dopo la guerra, verranno recuperati dagli alleati e restituiti alla RAI, la Radiotelevisione Italiana, organizzazione che prenderà il posto dell’EIAR nel 1944, dopo la caduta del fascismo. Nel 1949, gli ingegneri italiani ricominciano da lì: recuperano il vecchio trasmettitore dell’EIAR e lo installano a Torino, su una collina nella zona dell’Eremo. Questa seconda sperimentazione porterà al grande debutto ufficiale della televisione italiana, che avverrà nel 1954, quando finalmente si inizierà a trasmettere su tutto il territorio nazionale.

Ed è così che arriviamo alla terza tappa del nostro viaggio. La televisione italiana riparte: “La Rai, Radiotelevisione Italiana, ha inaugurato oggi il suo servizio regolare di trasmissioni televisive”. Con queste parole, il 3 gennaio 1954, Fulvia Colombo, una conduttrice italiana, dà il via alle trasmissioni della nuova televisione italiana. La TV torna nelle case italiane di quei pochi che possono permettersela. I programmi erano trasmessi in bianco e nero, e solo in alcune ore del giorno. Il primo canale della televisione italiana si chiama Rai1. Per quanto riguarda le trasmissioni, la RAI seguiva delle norme, e non poteva trasmettere scene che avrebbero turbato la pace sociale, il rispetto dei valori familiari e religiosi. In TV erano bandite le scene violente, volgari ed erotiche. Le prime trasmissioni RAI includono infatti delle interviste, la domenica sportiva (già immancabile all’epoca), una rubrica musicale chiamata Settenote e uno spettacolo intitolato L'orchestra delle 15.

A quanto pare, in questo periodo, cioè nel 1954, una televisione costava quanto un’automobile: il prezzo più basso sul mercato era di circa 150.000 lire (che corrispondono a circa 3.000 euro oggi, per quanto sia difficile paragonare la lira all’euro). Allora il segnale della TV arrivò a coprire tutto il territorio nazionale, mentre all’inizio arrivava solo in alcune zone del nord e centro Italia, dando finalmente modo a tutti (o, comunque, a chi poteva permetterselo) di comprare una televisione a prescindere dalla regione di residenza. Comunque, negli anni ‘50 la TV rimane un bene di lusso, tanto che la gente inizia a radunarsi per guardare la televisione in gruppo, nei bar o nelle case dei conoscenti che possedevano un televisore, soprattutto in una certa sera di gennaio, quando, per la prima volta, viene trasmesso il Festival di Sanremo in diretta sul piccolo schermo. Sullo schermo compare il palco del Teatro del Casinò di Sanremo: è lì che si svolge la quinta edizione del Festival della Canzone Italiana che, per la prima volta, entra nelle case degli italiani grazie alla televisione. Hai capito bene: il festival era cominciato quattro anni prima, nel 1951, sempre al Casinò di Sanremo, ma in un’altra sala, la sala da pranzo del casinò, e senza alcuna telecamera. Il Festival nasce in silenzio, più come un esperimento che come un evento nazionale. Prima del 1955, viene trasmesso solo in radio e seguito, anzi, ascoltato, da pochissime persone. Dal 1955 in poi, però, il festival di Sanremo verrà trasmesso in televisione per tutti gli italiani: questo è l’inizio di una tradizione che durerà fino ad oggi. Il festival del 1955, ovviamente, è molto diverso dal festival che conosciamo oggi, nel 2025: i cantanti si muovono timidamente sul palco, non c’è molto intrattenimento, le inquadrature sono statiche, ma è comunque una novità assoluta e, per la prima volta, gli italiani possono vedere in faccia i cantanti più amati della musica italiana. Col tempo, la televisione trasformerà il festival: da evento di nicchia diventerà un rito collettivo che unisce tutti gli italiani. Oggi, infatti, non è più solo una competizione tra cantanti, è lo specchio della società italiana, di una società che canta, sogna, balla, si commuove e si veste bene, almeno una volta all’anno.

Comunque, nello stesso periodo, nascono anche i primi telequiz italiani, e diventano subito popolarissimi; per fare un esempio, menzioniamo Lascia o raddoppia? condotto da Mike Bongiorno. Mike Bongiorno è stato un presentatore importantissimo, conosciuto e amato da diverse generazioni nel tempo. Pensa che è nato nel 1924 ed è rimasto un volto familiare fino alla sua morte, nel 2009. Ha avuto un ruolo fondamentale non solo nella televisione italiana, ma anche nell’unificazione linguistica del Paese, perché con i suoi programmi, trasmessi in tutta Italia e rivolti a un pubblico vastissimo, contribuì a diffondere l’italiano standard in un’epoca in cui molti parlavano ancora principalmente dialetto. Molti dicono che l’unità d'Italia non l'ha fatta Garibaldi, ma Mike Bongiorno. Comunque, un altro programma tanto amato della fine degli anni ‘50 è Lo Zecchino d’Oro, un festival musicale di canzoni per bambini dove i bambini cantano canzoni scritte da adulti, spesso con testi divertenti, educativi o anche poetici. La mia generazione ancora ricorda tanti classici dello Zecchino d’Oro, come Il Valzer del moscerino, Popoff e Il caffè della Peppina.

Intanto, negli anni Sessanta, con il progresso dell'economia, i prezzi dei televisori iniziano ad essere più accessibili e sempre più persone hanno la possibilità di comprarne uno. Questo è un bene perché il primo obiettivo della RAI, in quanto ente pubblico, era proprio quello di “alfabetizzare” il Paese. Come detto prima, negli anni ’50 e ’60, infatti, l’Italia era ancora segnata da forti disuguaglianze: c’erano analfabeti, tanti dialetti diversi, e un bel divario tra Nord e Sud. Allora la TV entra in scena con una missione e nascono programmi come Non è mai troppo tardi, condotto da Alberto Manzi, che insegna agli italiani adulti a leggere e scrivere. Le trasmissioni dell’epoca avevano uno scopo e uno stile sobrio ed educato: niente volgarità, niente nudo, niente parolacce, niente sangue. Si evitavano temi volgari e si preferivano contenuti che potessero unire, invece che dividere. Nel 1957, poi, nasce Carosello, un programma storicamente famoso in Italia che aveva il compito di fare pubblicità. Gli spot pubblicitari fanno quindi ingresso nelle TV italiane, perché fino a quel punto ancora non esistevano, ma devono rispettare rigorose regole stilistiche e narrative: il nome del prodotto pubblicizzato può essere citato solo all'inizio e alla fine di un filmato della durata massima di 2 minuti e 15 secondi. Una sfida, eh?

Poco dopo, negli anni Sessanta, accadono due eventi importantissimi: prima di tutto, nasce un secondo canale Rai, chiamato Rai2; in più, c’è il primo collegamento via satellite tra Italia e Stati Uniti, che permette agli italiani di assistere a eventi fondamentali della storia contemporanea in diretta, come lo sbarco del primo uomo sulla Luna, nel 1969, evento che unisce circa 500 milioni di spettatori.

Arriviamo, dunque, alla quarta tappa del nostro viaggio: gli anni ‘70. Negli anni ’70 la televisione italiana comincia a cambiare profondamente. Dopo anni di trasmissioni in bianco e nero, arriva la televisione a colori, ma con un ritardo clamoroso: infatti arriva solo nel febbraio del 1977, dieci anni dopo che era arrivata in Paesi come la Germania o la Francia. Perché tutto questo ritardo? Beh, perché si temeva che la TV a colori, costosa e quasi sempre importata, avrebbe avuto effetti devastanti sulla situazione economica italiana del momento. Comunque, nel frattempo, le TV straniere iniziano a farsi spazio in Italia, soprattutto al Nord, così come le TV private, prima solo via cavo, poi anche via etere, cioè senza fili, usando solo il segnale. Intanto nasce un nuovo canale Rai, un terzo canale Rai. Accanto a Rai1 e Rai2, nasce… indovina? Rai3. Bravo. Rai 1, Rai 2 e Rai 3 occupano precisamente il primo, il secondo e il terzo canale della televisione pubblica italiana. In questo periodo, in più, la televisione pubblica italiana subisce una riforma importante, che sposta il controllo della RAI dal Governo direttamente al Parlamento, cioè dove siedono i rappresentanti di tutti i partiti politici. E, per evitare che un solo partito abbia il controllo totale della TV pubblica, quindi completo e totale accesso alle case e ai cuori degli italiani, si decide di dividere la gestione dei tre canali principali, Rai 1, Rai 2, e Rai 3, tra i principali partiti politici del periodo. Questo accordo si chiama “lottizzazione”: Rai 1 viene affidato alla Democrazia Cristiana, Rai 2 va al Partito Socialista Italiano, e Rai 3 viene dato al Partito Comunista Italiano.

Arriviamo così alla quinta tappa nel nostro viaggio: gli anni ‘80 e ‘90, caratterizzati dallo sviluppo delle TV private. In pochi anni, nascono centinaia di piccole emittenti e, proprio in questi anni, iniziamo a sentire un nome destinato a fare la storia d’Italia, nel bene o nel male: quello di Silvio Berlusconi. Attraverso la sua azienda Fininvest, Berlusconi acquista e unisce diverse reti locali, creando una rete nazionale alternativa alla RAI che prenderà poi, più in là, il nome di Mediaset. A questo punto ci sono due grandi gruppi, RAI e Mediaset, che si dividono praticamente tutto il pubblico italiano. Nel 1990 entra in vigore la legge Mammì, una legge che stabilisce che un’azienda privata, come Mediaset, può gestire al massimo tre canali. Nascono quindi tre canali, di tutta risposta a Rai 1, Rai 2 e Rai3: i canali di Berlusconi si chiamano Rete 4, Canale 5, e Italia 1, ed occupano rispettivamente il canale numero 4, 5, e 6 degli schermi italiani. La Mediaset non ha il tono “serioso” della RAI, anzi, punta tutto sullo spettacolo e sull’intrattenimento: Rete 4 con le sue telenovelas o soap opera è destinato ad un pubblico femminile; Canale 5 porta programmi per tutta la famiglia, come Chi ha incastrato Peter Pan, un programma d’intrattenimento comico condotto da Paolo Bonolis e Luca Laurenti, in cui i protagonisti sono bambini. Infine, Italia 1 è destinato ad un pubblico giovane e curioso, interessato a cartoni animati giapponesi e serie TV americane. In tutto ciò, la RAI cerca di stare al passo, ma ormai il sistema è duale: da una parte la TV pubblica, cioè la RAI, più istituzionale; dall’altra le reti private, più leggere, più informali. Si apre un dibattito acceso, dove la TV pubblica accusa la TV privata di abbassare il livello culturale della gente, ma i numeri parlano chiaro: la TV privata conquista milioni di telespettatori. Ovviamente intanto si diffondono altri canali nazionali, anche a pagamento, ma con un pubblico molto più ridotto, rispetto alla Rai e a Mediaset. Se dovessimo menzionare tutti i canali della TV italiana finiremmo nel… duemila-mai!

Piuttosto, procediamo con la sesta tappa del nostro viaggio nel tempo: gli anni 2000. Nel 2001 nasce LA7, che occupa il canale numero 7 della TV. Intanto la televisione italiana si fa ancora più “spettacolare”. È il decennio dei reality show, dei talk pomeridiani, dei canali di musica, e dei programmi stranieri rivisitati e riadattati al gusto italiano. Il piccolo schermo diventa un’arena pubblica quando nasce il fenomeno del trash televisivo: contenuti esagerati, discussioni urlate, litigi, amori e tradimenti in diretta. Il pubblico si divide: c’è chi ama questi programmi e chi li considera il simbolo della decadenza culturale, senza decenza, dove si condivide tutto, dalla quotidianità all’intimità.

I giovani intanto si appassionano a due canali in particolare: MTV e AllMusic, due canali musicali che offrono un’alternativa fresca, dinamica e internazionale rispetto alla TV tradizionale italiana. Oltre ai video musicali, MTV trasmette programmi di intrattenimento, cartoni, reality show, cerimonie di premiazione come Oscar. AllMusic, allo stesso modo, trasmette video musicali, classifiche, concerti, e interviste, ma con meno spazio per i reality. Il suo stile è più “pulito”, meno caotico rispetto a MTV, ed è apprezzato soprattutto da chi cerca musica senza troppe distrazioni. In sintesi, MTV è più orientato al mondo della cultura popolare, mentre AllMusic è più “di nicchia”.

Quindi, fino ai primi anni 2000, la TV italiana era dominata da Rai e Mediaset. Ma dal 2003 tutto cambia: si passa dal segnale analogico a quello digitale attraverso il digitale terrestre. Il digitale terrestre ha sostituito il vecchio segnale analogico con uno digitale, più efficiente e moderno. Chi aveva un televisore vecchio, analogico, ha dovuto comprare un decoder, un apparecchio esterno da collegare alla TV per continuare a vedere i canali. Pensa che i televisori venduti dopo il 2009 hanno quasi tutti il decoder integrato. Il digitale terrestre ha permesso alla TV italiana di avere più canali TV sulla stessa frequenza, ma anche di trasmettere immagini in alta definizione, e di offrire ai telespettatori nuovi servizi come i sottotitoli e la guida TV interattiva. Il digitale terrestre segna una vera rivoluzione e, grazie a questa nuova tecnologia, il numero dei canali disponibili esplode: nascono centinaia di nuovi canali, anche “tematici”, come Rai Gulp e Boing, canali con cartoni animati per bambini, o Rai Movie e Iris, canali per appassionati di cinema, e canali dedicati all’informazione continua, come Rai News 24 o TGcom24. Il palinsesto si frammenta e ogni telespettatore può finalmente scegliere cosa guardare, quando e come. Questo sembra l’inizio di una nuova epoca d’oro per la televisione… ma, in realtà, è anche l’inizio della sua crisi, diciamo. Sì, perché, proprio mentre la TV cerca di reinventarsi, qualcosa di gigantesco inizia a crescere: Internet. E con internet, le abitudini degli italiani (e non solo) cambiano radicalmente. Arriva YouTube, arrivano i social network, le prime serie TV da guardare (anche illegalmente) in streaming. E così, l’idea di sedersi tutti insieme davanti a uno schermo, alla stessa ora, a guardare lo stesso programma… diventa sempre più rara. Poi nel 2015, arriva il vero terremoto, Netflix, con migliaia di film, documentari, serie e cartoni disponibili in qualsiasi momento, in qualsiasi lingua, e senza pubblicità. Lo spettatore diventa protagonista: non è più passivo, non deve adattarsi ai film che la TV trasmette, e agli orari in cui questi film vengono trasmessi, ma può scegliere attivamente cosa vedere.

In poco tempo, nascono nuove piattaforme: Prime Video, Disney+, Now TV, e tante altre. A questo punto, la televisione italiana deve adattarsi. Rai e Mediaset creano le proprie piattaforme online: RaiPlay e Mediaset Infinity, per recuperare almeno una parte del pubblico che ormai guarda contenuti solo su piattaforme come Netflix. Ma non è facile. La concorrenza è spietata, e soprattutto… internazionale. Le serie italiane iniziano a stufare, a risultare “antiche”, soprattutto per i gusti dei giovani italiani che si appassionano sempre di più alle serie straniere, specialmente americane, britanniche e spagnole. Anche se, dobbiamo dire che alcune serie italiane hanno avuto un successo pazzesco sia in Italia che all’estero. Pensiamo a Gomorra, a Romanzo Criminale (tutte serie molto stereotipate) o a L’amica geniale, I Medici, serie prodotte con l’ambizione di essere viste anche all’estero. Intanto, la TV e internet si contaminano a vicenda: gli influencer iniziano ad apparire nei programmi televisivi, e i programmi TV cercano di diventare virali sui social.

E così, piano piano, arriviamo al giorno d’oggi, nel 2025. Oggi abbiamo tutto. Sempre. Basta schiacciare un pulsante del telecomando e abbiamo accesso a centinaia di canali, piattaforme di streaming, notizie in tempo reale, serie tv da ogni angolo del mondo, documentari storici, ecc.ecc. È utilissimo, comodo, perfino educativo: possiamo imparare una lingua guardando una serie in lingua originale con i sottotitoli, capire la politica seguendo talk show e inchieste, ed esplorare la storia con documentari interessanti e intrattenenti. Ma… c’è sempre un ma. Avere tutto a disposizione, subito, senza sforzo… a volte stanca. Questa è una mia opinione. Non c’è più l’attesa, l’emozione, la curiosità che ti rosicchia, che ti mangia mentre aspetti la prossima puntata della tua serie preferita. Tutto è lì, disponibile, quando vuoi, tanto che scegliere a volte diventa difficile. Magari pensi a cosa guardare per mezz’ora, poi non riesci a scegliere, ti stufi e metti una cosa a caso. Questo, secondo me, è un po’ il paradosso dell’abbondanza: quando hai troppe possibilità, diventa difficile apprezzare e godersi davvero l’esperienza.

Comunque, se sei arrivato o arrivata fin qui, grazie di cuore per l’ascolto. Spero che questo viaggio sia stato interessante per te. Se ti è piaciuto, ti invito a lasciare un commento su Spotify o sul nostro sito, podcastitaliano.com. E magari puoi dirmi che cosa ti piace guardare in televisione: se preferisci la televisione tradizionale o le piattaforme di streaming come Netflix, ad esempio. E, soprattutto, voglio sapere se hai visto qualche serie TV o qualche film italiano in italiano. Inoltre, se ti va, e se ti piace questo podcast, ti ricordo che puoi lasciarci una recensione e una valutazione su Spotify che su Apple Podcast. Ci farebbe molto molto piacere. Allora ti saluto, grazie per l’ascolto, e alla prossima. Ciao!

Bentornato o bentornata a un nuovo episodio di Podcast Italiano, un podcast per imparare l'italiano attraverso contenuti interessanti. L’episodio di oggi è imperdibile: faremo un viaggio nel tempo alla scoperta della storia della televisione italiana. La televisione, questa scatola magica: un mezzo che non ha solo intrattenuto l’Italia, ma anche formato, unito e raccontato l’intera nazione. Dall’arrivo dei primi televisori in bianco e nero fino a quello delle piattaforme digitali dei nostri giorni, la televisione ha avuto un ruolo centrale nella costruzione dell’identità italiana. Oggi ripercorriamo una storia fatta di alti e bassi, di nomi e volti famosissimi, di programmi che hanno segnato un’epoca, e di ricordi condivisi da un’Italia riunita davanti allo schermo.

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Trascrizione interattiva dell'episodio

Ma prima di iniziare… c’è un’offerta imperdibile per tutti gli amanti dell’italiano! Hai appena iniziato ad ascoltare Podcast Italiano e sei preoccupato perché hai paura di non capire o non conoscere le parole che sentirai nell’episodio? Beh, noi abbiamo la soluzione: con la nostra trascrizione, accompagnata da un glossario, imparerai e capirai tutte le parole difficili che useremo in questo episodio. La trascrizione è gratuita, facile da usare e disponibile subito, con un semplice click! Vai nelle note dell’episodio, sull’app che stai usando per ascoltarci e, voilà, troverai il link ad aspettarti. Non lasciartela scappare: è completamente gratis! E ricorda: chi studia con dedizione, usa la trascrizione!

Davide: Irene, se mi permetti, devo dire una cosa importante ai nostri studenti. Sono appena tornato da un viaggio di due settimane in Andalusia, in Spagna (stupenda, a proposito), e questo viaggio mi ha fatto ricordare quanto sia bello sapere la lingua del posto quando viaggi. Che sia parlare con gli amici (se hai amici nel posto; un saluto al mio amico Antonio), ma anche solo chiedere indicazioni, fare due chiacchiere con le guide turistiche, con i camerieri: tutte cose che ti permettono davvero di vivere un’esperienza molto più ricca, più autentica e divertente, almeno secondo me. E meglio parli, più ti godi l’esperienza. Quale può essere il problema? Il problema può essere che forse anche tu, che mi stai ascoltando, come tanti, sei in questa situazione: quando ascolti questi podcast (o altri contenuti) ti senti un fenomeno e capisci tutto, o quasi, ma poi quando parli ti blocchi, fai fatica e ti demoralizzi.

Ho un consiglio che ti aiuterà finalmente a superare questa situazione, ovvero Italki. Italki è una piattaforma fantastica dove puoi fare lezioni individuali di italiano (o di qualsiasi lingua, praticamente) con insegnanti madrelingua, insegnanti nativi. E su Italki puoi trovare l’insegnante giusto per te, con cui ti senti a tuo agio, e che ti aiuterà a portare il tuo italiano al livello successivo.

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Partiamo con la prima tappa del nostro viaggio nel tempo, alla scoperta della storia della televisione italiana: tutto comincia negli anni ‘30, in un’Italia molto diversa da quella di oggi, quando ancora c’era il regime fascista. Siamo nella seconda metà degli anni Trenta. In Italia c’è il fascismo, al potere già dal 1922. Benito Mussolini governa il Paese con un regime autoritario, in poche parole con una dittatura, in cui ogni forma di comunicazione, dai giornali al cinema, dalla radio ai manifesti per strada, è controllata dallo Stato. Lo scopo è semplice: plasmare le menti degli italiani, convincerli che il fascismo è la strada giusta. In questo contesto nasce l’EIAR, l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche, praticamente l’organizzazione che gestisce tutte le trasmissioni radio italiane. Non esistono radio libere o private: c’è solo l’EIAR, e trasmette solo ciò che è autorizzato dal regime fascista. Infatti, nel 1935, una legge stabilisce che tutti i programmi radio devono passare sotto il controllo del regime fascista, affinché vengano controllati e approvati come “coerenti” con la propaganda del regime. La radio è il mezzo di comunicazione più potente dell’epoca. La televisione è ancora un sogno tecnologico, quasi fantascientifico, ma la radio è già ovunque: nelle case, nelle scuole, nei bar, nelle piazze. Mussolini la usa per fare i suoi discorsi al popolo, e si aspetta che tutti ne abbiano una.

Nel 1939, l’EIAR comincia a fare esperimenti con la televisione, prima a Torino e poi a Roma e Milano. Non esistevano ancora i programmi televisivi come li conosciamo oggi, si trattava infatti di test tecnici: inizialmente si trasmettevano solo immagini e piccoli spettacoli, in bianco e nero e di pessima qualità. Alla fine degli anni Trenta, però, le trasmissioni sperimentali si fanno più serie. Nascono i primi programmi con un vero e proprio palinsesto, cioè un calendario di appuntamenti organizzati, proprio come quello dei canali TV di oggi. Le trasmissioni, seppur limitate e ancora in fase di test, iniziano ad assomigliare a quelle della televisione moderna. Ma la televisione non è ancora uno strumento popolare diffuso: i televisori sono rari, costosissimi, e solo pochissime persone possono permetterseli. Non a caso, tra i primi luoghi ad avere una TV ci sono Villa Torlonia (la residenza privata di Mussolini) e i Palazzi Vaticani: la televisione era, infatti, anche simbolo di potere e ricchezza. Le trasmissioni, comunque, venivano trasmesse soltanto in alcune città del nord e del centro Italia, soprattutto a Roma, Torino e Milano, dove vengono installate le prime antenne private. A raccontare tutto questo c’era il Radiocorriere, una rivista che pubblicava ogni settimana i programmi radio e TV. È grazie a queste pubblicazioni che oggi possiamo ricostruire ciò che è successo.

Comunque, questo sogno futuristico dura pochissimo. Arriviamo alla seconda tappa del nostro viaggio: il 31 maggio del 1940, giorno in cui, proprio quando la TV sembrava ormai avviata, il governo ordina l’interruzione immediata di tutte le trasmissioni televisive. La motivazione ufficiale? Si parla di “interferenze con i sistemi di navigazione aerea”, ma, in realtà, dietro quella decisione, c’è qualcosa di più grande: l’Italia sta per entrare in guerra, nella Seconda Guerra Mondiale, e ogni energia, economica e industriale, deve concentrarsi sulla guerra. Le industrie che stavano costruendo televisori si convertono alla produzione di armi, radio militari e apparecchi bellici, mentre i bombardamenti della guerra distruggono tutti gli archivi dell’EIAR, cioè le registrazioni, i copioni, i palinsesti e i documenti delle prime trasmissioni televisive italiane. Tutto va perduto, ed è come se quella prima televisione italiana non fosse mai esistita. Durante l’occupazione tedesca dell’Italia, anche gli impianti tecnici di Roma vengono smontati e trasportati in Germania. I nazisti portano via tutto: trasmettitori, antenne, strumenti. Ma quegli stessi strumenti, dopo la guerra, verranno recuperati dagli alleati e restituiti alla RAI, la Radiotelevisione Italiana, organizzazione che prenderà il posto dell’EIAR nel 1944, dopo la caduta del fascismo. Nel 1949, gli ingegneri italiani ricominciano da lì: recuperano il vecchio trasmettitore dell’EIAR e lo installano a Torino, su una collina nella zona dell’Eremo. Questa seconda sperimentazione porterà al grande debutto ufficiale della televisione italiana, che avverrà nel 1954, quando finalmente si inizierà a trasmettere su tutto il territorio nazionale.

Ed è così che arriviamo alla terza tappa del nostro viaggio. La televisione italiana riparte: “La Rai, Radiotelevisione Italiana, ha inaugurato oggi il suo servizio regolare di trasmissioni televisive”. Con queste parole, il 3 gennaio 1954, Fulvia Colombo, una conduttrice italiana, dà il via alle trasmissioni della nuova televisione italiana. La TV torna nelle case italiane di quei pochi che possono permettersela. I programmi erano trasmessi in bianco e nero, e solo in alcune ore del giorno. Il primo canale della televisione italiana si chiama Rai1. Per quanto riguarda le trasmissioni, la RAI seguiva delle norme, e non poteva trasmettere scene che avrebbero turbato la pace sociale, il rispetto dei valori familiari e religiosi. In TV erano bandite le scene violente, volgari ed erotiche. Le prime trasmissioni RAI includono infatti delle interviste, la domenica sportiva (già immancabile all’epoca), una rubrica musicale chiamata Settenote e uno spettacolo intitolato L'orchestra delle 15.

A quanto pare, in questo periodo, cioè nel 1954, una televisione costava quanto un’automobile: il prezzo più basso sul mercato era di circa 150.000 lire (che corrispondono a circa 3.000 euro oggi, per quanto sia difficile paragonare la lira all’euro). Allora il segnale della TV arrivò a coprire tutto il territorio nazionale, mentre all’inizio arrivava solo in alcune zone del nord e centro Italia, dando finalmente modo a tutti (o, comunque, a chi poteva permetterselo) di comprare una televisione a prescindere dalla regione di residenza. Comunque, negli anni ‘50 la TV rimane un bene di lusso, tanto che la gente inizia a radunarsi per guardare la televisione in gruppo, nei bar o nelle case dei conoscenti che possedevano un televisore, soprattutto in una certa sera di gennaio, quando, per la prima volta, viene trasmesso il Festival di Sanremo in diretta sul piccolo schermo. Sullo schermo compare il palco del Teatro del Casinò di Sanremo: è lì che si svolge la quinta edizione del Festival della Canzone Italiana che, per la prima volta, entra nelle case degli italiani grazie alla televisione. Hai capito bene: il festival era cominciato quattro anni prima, nel 1951, sempre al Casinò di Sanremo, ma in un’altra sala, la sala da pranzo del casinò, e senza alcuna telecamera. Il Festival nasce in silenzio, più come un esperimento che come un evento nazionale. Prima del 1955, viene trasmesso solo in radio e seguito, anzi, ascoltato, da pochissime persone. Dal 1955 in poi, però, il festival di Sanremo verrà trasmesso in televisione per tutti gli italiani: questo è l’inizio di una tradizione che durerà fino ad oggi. Il festival del 1955, ovviamente, è molto diverso dal festival che conosciamo oggi, nel 2025: i cantanti si muovono timidamente sul palco, non c’è molto intrattenimento, le inquadrature sono statiche, ma è comunque una novità assoluta e, per la prima volta, gli italiani possono vedere in faccia i cantanti più amati della musica italiana. Col tempo, la televisione trasformerà il festival: da evento di nicchia diventerà un rito collettivo che unisce tutti gli italiani. Oggi, infatti, non è più solo una competizione tra cantanti, è lo specchio della società italiana, di una società che canta, sogna, balla, si commuove e si veste bene, almeno una volta all’anno.

Comunque, nello stesso periodo, nascono anche i primi telequiz italiani, e diventano subito popolarissimi; per fare un esempio, menzioniamo Lascia o raddoppia? condotto da Mike Bongiorno. Mike Bongiorno è stato un presentatore importantissimo, conosciuto e amato da diverse generazioni nel tempo. Pensa che è nato nel 1924 ed è rimasto un volto familiare fino alla sua morte, nel 2009. Ha avuto un ruolo fondamentale non solo nella televisione italiana, ma anche nell’unificazione linguistica del Paese, perché con i suoi programmi, trasmessi in tutta Italia e rivolti a un pubblico vastissimo, contribuì a diffondere l’italiano standard in un’epoca in cui molti parlavano ancora principalmente dialetto. Molti dicono che l’unità d'Italia non l'ha fatta Garibaldi, ma Mike Bongiorno. Comunque, un altro programma tanto amato della fine degli anni ‘50 è Lo Zecchino d’Oro, un festival musicale di canzoni per bambini dove i bambini cantano canzoni scritte da adulti, spesso con testi divertenti, educativi o anche poetici. La mia generazione ancora ricorda tanti classici dello Zecchino d’Oro, come Il Valzer del moscerino, Popoff e Il caffè della Peppina.

Intanto, negli anni Sessanta, con il progresso dell'economia, i prezzi dei televisori iniziano ad essere più accessibili e sempre più persone hanno la possibilità di comprarne uno. Questo è un bene perché il primo obiettivo della RAI, in quanto ente pubblico, era proprio quello di “alfabetizzare” il Paese. Come detto prima, negli anni ’50 e ’60, infatti, l’Italia era ancora segnata da forti disuguaglianze: c’erano analfabeti, tanti dialetti diversi, e un bel divario tra Nord e Sud. Allora la TV entra in scena con una missione e nascono programmi come Non è mai troppo tardi, condotto da Alberto Manzi, che insegna agli italiani adulti a leggere e scrivere. Le trasmissioni dell’epoca avevano uno scopo e uno stile sobrio ed educato: niente volgarità, niente nudo, niente parolacce, niente sangue. Si evitavano temi volgari e si preferivano contenuti che potessero unire, invece che dividere. Nel 1957, poi, nasce Carosello, un programma storicamente famoso in Italia che aveva il compito di fare pubblicità. Gli spot pubblicitari fanno quindi ingresso nelle TV italiane, perché fino a quel punto ancora non esistevano, ma devono rispettare rigorose regole stilistiche e narrative: il nome del prodotto pubblicizzato può essere citato solo all'inizio e alla fine di un filmato della durata massima di 2 minuti e 15 secondi. Una sfida, eh?

Poco dopo, negli anni Sessanta, accadono due eventi importantissimi: prima di tutto, nasce un secondo canale Rai, chiamato Rai2; in più, c’è il primo collegamento via satellite tra Italia e Stati Uniti, che permette agli italiani di assistere a eventi fondamentali della storia contemporanea in diretta, come lo sbarco del primo uomo sulla Luna, nel 1969, evento che unisce circa 500 milioni di spettatori.

Arriviamo, dunque, alla quarta tappa del nostro viaggio: gli anni ‘70. Negli anni ’70 la televisione italiana comincia a cambiare profondamente. Dopo anni di trasmissioni in bianco e nero, arriva la televisione a colori, ma con un ritardo clamoroso: infatti arriva solo nel febbraio del 1977, dieci anni dopo che era arrivata in Paesi come la Germania o la Francia. Perché tutto questo ritardo? Beh, perché si temeva che la TV a colori, costosa e quasi sempre importata, avrebbe avuto effetti devastanti sulla situazione economica italiana del momento. Comunque, nel frattempo, le TV straniere iniziano a farsi spazio in Italia, soprattutto al Nord, così come le TV private, prima solo via cavo, poi anche via etere, cioè senza fili, usando solo il segnale. Intanto nasce un nuovo canale Rai, un terzo canale Rai. Accanto a Rai1 e Rai2, nasce… indovina? Rai3. Bravo. Rai 1, Rai 2 e Rai 3 occupano precisamente il primo, il secondo e il terzo canale della televisione pubblica italiana. In questo periodo, in più, la televisione pubblica italiana subisce una riforma importante, che sposta il controllo della RAI dal Governo direttamente al Parlamento, cioè dove siedono i rappresentanti di tutti i partiti politici. E, per evitare che un solo partito abbia il controllo totale della TV pubblica, quindi completo e totale accesso alle case e ai cuori degli italiani, si decide di dividere la gestione dei tre canali principali, Rai 1, Rai 2, e Rai 3, tra i principali partiti politici del periodo. Questo accordo si chiama “lottizzazione”: Rai 1 viene affidato alla Democrazia Cristiana, Rai 2 va al Partito Socialista Italiano, e Rai 3 viene dato al Partito Comunista Italiano.

Arriviamo così alla quinta tappa nel nostro viaggio: gli anni ‘80 e ‘90, caratterizzati dallo sviluppo delle TV private. In pochi anni, nascono centinaia di piccole emittenti e, proprio in questi anni, iniziamo a sentire un nome destinato a fare la storia d’Italia, nel bene o nel male: quello di Silvio Berlusconi. Attraverso la sua azienda Fininvest, Berlusconi acquista e unisce diverse reti locali, creando una rete nazionale alternativa alla RAI che prenderà poi, più in là, il nome di Mediaset. A questo punto ci sono due grandi gruppi, RAI e Mediaset, che si dividono praticamente tutto il pubblico italiano. Nel 1990 entra in vigore la legge Mammì, una legge che stabilisce che un’azienda privata, come Mediaset, può gestire al massimo tre canali. Nascono quindi tre canali, di tutta risposta a Rai 1, Rai 2 e Rai3: i canali di Berlusconi si chiamano Rete 4, Canale 5, e Italia 1, ed occupano rispettivamente il canale numero 4, 5, e 6 degli schermi italiani. La Mediaset non ha il tono “serioso” della RAI, anzi, punta tutto sullo spettacolo e sull’intrattenimento: Rete 4 con le sue telenovelas o soap opera è destinato ad un pubblico femminile; Canale 5 porta programmi per tutta la famiglia, come Chi ha incastrato Peter Pan, un programma d’intrattenimento comico condotto da Paolo Bonolis e Luca Laurenti, in cui i protagonisti sono bambini. Infine, Italia 1 è destinato ad un pubblico giovane e curioso, interessato a cartoni animati giapponesi e serie TV americane. In tutto ciò, la RAI cerca di stare al passo, ma ormai il sistema è duale: da una parte la TV pubblica, cioè la RAI, più istituzionale; dall’altra le reti private, più leggere, più informali. Si apre un dibattito acceso, dove la TV pubblica accusa la TV privata di abbassare il livello culturale della gente, ma i numeri parlano chiaro: la TV privata conquista milioni di telespettatori. Ovviamente intanto si diffondono altri canali nazionali, anche a pagamento, ma con un pubblico molto più ridotto, rispetto alla Rai e a Mediaset. Se dovessimo menzionare tutti i canali della TV italiana finiremmo nel… duemila-mai!

Piuttosto, procediamo con la sesta tappa del nostro viaggio nel tempo: gli anni 2000. Nel 2001 nasce LA7, che occupa il canale numero 7 della TV. Intanto la televisione italiana si fa ancora più “spettacolare”. È il decennio dei reality show, dei talk pomeridiani, dei canali di musica, e dei programmi stranieri rivisitati e riadattati al gusto italiano. Il piccolo schermo diventa un’arena pubblica quando nasce il fenomeno del trash televisivo: contenuti esagerati, discussioni urlate, litigi, amori e tradimenti in diretta. Il pubblico si divide: c’è chi ama questi programmi e chi li considera il simbolo della decadenza culturale, senza decenza, dove si condivide tutto, dalla quotidianità all’intimità.

I giovani intanto si appassionano a due canali in particolare: MTV e AllMusic, due canali musicali che offrono un’alternativa fresca, dinamica e internazionale rispetto alla TV tradizionale italiana. Oltre ai video musicali, MTV trasmette programmi di intrattenimento, cartoni, reality show, cerimonie di premiazione come Oscar. AllMusic, allo stesso modo, trasmette video musicali, classifiche, concerti, e interviste, ma con meno spazio per i reality. Il suo stile è più “pulito”, meno caotico rispetto a MTV, ed è apprezzato soprattutto da chi cerca musica senza troppe distrazioni. In sintesi, MTV è più orientato al mondo della cultura popolare, mentre AllMusic è più “di nicchia”.

Quindi, fino ai primi anni 2000, la TV italiana era dominata da Rai e Mediaset. Ma dal 2003 tutto cambia: si passa dal segnale analogico a quello digitale attraverso il digitale terrestre. Il digitale terrestre ha sostituito il vecchio segnale analogico con uno digitale, più efficiente e moderno. Chi aveva un televisore vecchio, analogico, ha dovuto comprare un decoder, un apparecchio esterno da collegare alla TV per continuare a vedere i canali. Pensa che i televisori venduti dopo il 2009 hanno quasi tutti il decoder integrato. Il digitale terrestre ha permesso alla TV italiana di avere più canali TV sulla stessa frequenza, ma anche di trasmettere immagini in alta definizione, e di offrire ai telespettatori nuovi servizi come i sottotitoli e la guida TV interattiva. Il digitale terrestre segna una vera rivoluzione e, grazie a questa nuova tecnologia, il numero dei canali disponibili esplode: nascono centinaia di nuovi canali, anche “tematici”, come Rai Gulp e Boing, canali con cartoni animati per bambini, o Rai Movie e Iris, canali per appassionati di cinema, e canali dedicati all’informazione continua, come Rai News 24 o TGcom24. Il palinsesto si frammenta e ogni telespettatore può finalmente scegliere cosa guardare, quando e come. Questo sembra l’inizio di una nuova epoca d’oro per la televisione… ma, in realtà, è anche l’inizio della sua crisi, diciamo. Sì, perché, proprio mentre la TV cerca di reinventarsi, qualcosa di gigantesco inizia a crescere: Internet. E con internet, le abitudini degli italiani (e non solo) cambiano radicalmente. Arriva YouTube, arrivano i social network, le prime serie TV da guardare (anche illegalmente) in streaming. E così, l’idea di sedersi tutti insieme davanti a uno schermo, alla stessa ora, a guardare lo stesso programma… diventa sempre più rara. Poi nel 2015, arriva il vero terremoto, Netflix, con migliaia di film, documentari, serie e cartoni disponibili in qualsiasi momento, in qualsiasi lingua, e senza pubblicità. Lo spettatore diventa protagonista: non è più passivo, non deve adattarsi ai film che la TV trasmette, e agli orari in cui questi film vengono trasmessi, ma può scegliere attivamente cosa vedere.

In poco tempo, nascono nuove piattaforme: Prime Video, Disney+, Now TV, e tante altre. A questo punto, la televisione italiana deve adattarsi. Rai e Mediaset creano le proprie piattaforme online: RaiPlay e Mediaset Infinity, per recuperare almeno una parte del pubblico che ormai guarda contenuti solo su piattaforme come Netflix. Ma non è facile. La concorrenza è spietata, e soprattutto… internazionale. Le serie italiane iniziano a stufare, a risultare “antiche”, soprattutto per i gusti dei giovani italiani che si appassionano sempre di più alle serie straniere, specialmente americane, britanniche e spagnole. Anche se, dobbiamo dire che alcune serie italiane hanno avuto un successo pazzesco sia in Italia che all’estero. Pensiamo a Gomorra, a Romanzo Criminale (tutte serie molto stereotipate) o a L’amica geniale, I Medici, serie prodotte con l’ambizione di essere viste anche all’estero. Intanto, la TV e internet si contaminano a vicenda: gli influencer iniziano ad apparire nei programmi televisivi, e i programmi TV cercano di diventare virali sui social.

E così, piano piano, arriviamo al giorno d’oggi, nel 2025. Oggi abbiamo tutto. Sempre. Basta schiacciare un pulsante del telecomando e abbiamo accesso a centinaia di canali, piattaforme di streaming, notizie in tempo reale, serie tv da ogni angolo del mondo, documentari storici, ecc.ecc. È utilissimo, comodo, perfino educativo: possiamo imparare una lingua guardando una serie in lingua originale con i sottotitoli, capire la politica seguendo talk show e inchieste, ed esplorare la storia con documentari interessanti e intrattenenti. Ma… c’è sempre un ma. Avere tutto a disposizione, subito, senza sforzo… a volte stanca. Questa è una mia opinione. Non c’è più l’attesa, l’emozione, la curiosità che ti rosicchia, che ti mangia mentre aspetti la prossima puntata della tua serie preferita. Tutto è lì, disponibile, quando vuoi, tanto che scegliere a volte diventa difficile. Magari pensi a cosa guardare per mezz’ora, poi non riesci a scegliere, ti stufi e metti una cosa a caso. Questo, secondo me, è un po’ il paradosso dell’abbondanza: quando hai troppe possibilità, diventa difficile apprezzare e godersi davvero l’esperienza.

Comunque, se sei arrivato o arrivata fin qui, grazie di cuore per l’ascolto. Spero che questo viaggio sia stato interessante per te. Se ti è piaciuto, ti invito a lasciare un commento su Spotify o sul nostro sito, podcastitaliano.com. E magari puoi dirmi che cosa ti piace guardare in televisione: se preferisci la televisione tradizionale o le piattaforme di streaming come Netflix, ad esempio. E, soprattutto, voglio sapere se hai visto qualche serie TV o qualche film italiano in italiano. Inoltre, se ti va, e se ti piace questo podcast, ti ricordo che puoi lasciarci una recensione e una valutazione su Spotify che su Apple Podcast. Ci farebbe molto molto piacere. Allora ti saluto, grazie per l’ascolto, e alla prossima. Ciao!

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