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    Gli italiani sono razzisti?

    Avanzato
    #
    38

    November 2, 2025

    Note e risorse

    In questo episodio di livello avanzato, affrontiamo una domanda scomoda ma necessaria: l'Italia è un Paese razzista? Analizziamo i dati sulla presenza degli stranieri in Italia, il contributo economico dei migranti, le diverse forme di discriminazione e le manifestazioni del razzismo contemporaneo.

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    Trascrizione

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    In Italia, oggi, sono 5 milioni e 422mila gli stranieri residenti, corrispondenti al 9,2% della popolazione totale, come riportato dall'Istituto Nazionale di Statistica. Il dato è aggiornato al 1° gennaio 2025. 5 milioni e mezzo di stranieri su una popolazione totale di 59 milioni.

    Dal 58° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, apprendiamo inoltre che, nel 2023, i nati da almeno un genitore straniero sono il 21,3% del totale: quindi un neonato su cinque. Gli alunni stranieri, con cittadinanza non italiana, iscritti nelle scuole nell’anno scolastico 2023/2024 rappresentano l’11,6% del totale; le coppie con almeno un componente straniero sono il 10,1%; e sono oltre un milione i minori stranieri residenti in Italia: l’11,8% del totale.

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    Trascrizione interattiva dell'episodio

    Questi dati, sulla presenza degli stranieri in Italia e sull’incidenza della componente migrante sulla popolazione totale, ci inducono a interrogarci sulla questione dell’accoglienza. Le domande che ci poniamo sono: come vivono gli italiani la presenza di così tanti stranieri in Italia? Si tratta di una presenza vissuta positivamente, valorizzata, soltanto accettata, appena tollerata o, invece, perfino sgradita? In altre parole, quello che ci stiamo chiedendo è: l’Italia di oggi è un Paese razzista, o no?

    Questo è Podcast Italiano, un podcast per imparare l’italiano attraverso contenuti interessanti e autentici. Stai ascoltando il podcast di livello intermedio o avanzato: se sei alla ricerca di contenuti un po’ più semplici, cerca Podcast Italiano Principiante. L’episodio di oggi è un episodio di livello avanzato, motivo per cui ti consiglio particolarmente di dare un’occhiata alla trascrizione gratuita con glossario che prepariamo per te e che si trova sul nostro sito, podcastitaliano.com. La trascrizione, appunto, contiene un glossario molto dettagliato che ti permetterà di imparare e capire un sacco di parole ed espressioni probabilmente nuove per te. Trovi il link nelle note di questo episodio nell’app dove mi stai ascoltando: Spotify, Apple Podcast o qualsiasi app di podcast. Detto ciò, andiamo.

    Dicevamo: l’Italia è un Paese razzista? Questa domanda, che regolarmente fa capolino nelle aule della politica, nelle aule scolastiche, nei media tradizionali e nei nuovi media, non è affatto una domanda dalla risposta netta. È difficile, se non impossibile, affermare che un intero Paese sia razzista o che non lo sia. È possibile invece scomporre la domanda generale in una serie di micro-domande più specifiche:

    Quante sono le persone che in Italia coltivano sentimenti razzisti?

    Con quale forza?

    Contro chi?

    Attraverso quali comportamenti si manifesta il loro razzismo?

    Quali sono gli ambiti di convivenza sociale in cui si annidano maggiormente le disuguaglianze? Lavoro? Scuola? Abitazione? Cittadinanza?

    Quali sono le contromisure all’intolleranza e alla discriminazione? Cosa si fa, concretamente, per arginare il razzismo?

    Ecco, per tentare di rispondere a queste domande, non possiamo non partire da una definizione della questione. Non possiamo, cioè, non chiederci: ma di cosa parliamo, esattamente, quando parliamo di razzismo?

    Dunque, alla base del razzismo c’è l’idea che non tutti gli esseri umani abbiano uguale valore, e quindi che non tutti debbano avere gli stessi diritti e le stesse opportunità; si ritiene, al contrario, che gli umani vadano differenziati e gerarchizzati in base a fattori come il colore della pelle, la nazionalità, l’origine etnica, la cultura, la religione, perfino la lingua. Alla base del razzismo, quindi, c’è la convinzione che l’umanità sia divisa in gruppi, siano essi razziali, nazionali, etnici, religiosi o linguistici, alcuni dei quali vengono considerati biologicamente o culturalmente superiori ad altri.

    Ricordiamolo, se fosse necessario: per la scienza contemporanea, è assolutamente scorretto parlare di “razze umane”, poiché sotto il profilo biologico, non è possibile identificare un individuo sulla base di un marcatore genetico che possa dividere l’umanità in razze. Proprio per questa ragione, in Italia, con il Decreto Legge 22 aprile 2023, n. 44 si è disposto che “negli atti e nei documenti delle pubbliche amministrazioni il termine: «razza» è sostituito dal seguente: «nazionalità»”.

    Ottima mossa quella del Legislatore italiano. Ma siamo sicuri di essere stati sempre così “brava gente” noi italiani, come ci dipingono spesso fuori dall’Italia?

    Purtroppo no, al contrario. Abbiamo anche noi una triste storia di razzismo nel nostro Paese. Volendo abbozzarne una breve versione, senza andare troppo indietro nel tempo, possiamo affermare che le radici più profonde del razzismo italiano vanno ricercate nel passato coloniale del Paese. Tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento anche l’Italia si macchiò della colpa della violenza coloniale in Africa, dove sottomise Eritrea, Somalia, Libia ed Etiopia. Per giustificare i propri crimini, la macchina propagandistica coloniale diffuse l’idea di una presunta inferiorità delle popolazioni africane. Durante la guerra d’Etiopia (1935-36), il regime fascista introdusse inoltre leggi che vietavano i matrimoni misti e promuovevano la segregazione razziale. Ma la svolta più drammatica avvenne sicuramente nel 1938 con la promulgazione delle leggi razziali contro gli ebrei italiani, i quali furono privati dei loro diritti civili, scolastici e lavorativi, e infine deportati nei campi di concentramento, dove la maggior parte di loro trovò la morte. Se ti interessa questo argomento, ti segnalo la nostra serie di episodi di livello avanzato, proprio dedicata al Fascismo, e che abbiamo recentemente concluso.

    Dopo la fine del Fascismo e della Seconda Guerra Mondiale, per un lungo periodo, il razzismo è stato rimosso dal dibattito pubblico: il ricordo dei crimini d’odio perpetrati era troppo fresco e troppo scomodo per le coscienze del tempo. Solo a partire dagli anni Ottanta, con l’aumento dell’immigrazione verso il nostro Paese, si è riaccesa la paura nei confronti del “diverso”, dell’“altro”. Una tendenza poi proseguita negli anni Duemila, quando il dibattito pubblico ha iniziato a concentrarsi sull’immigrazione falsamente declinata come emergenza, alimentando così un clima di diffidenza e ostilità nei confronti degli stranieri, ma più in particolare degli slavi, degli afro-discendenti, di chiunque abbia la pelle scura, nonché delle popolazioni rom e sinthi. Questa rappresentazione distorta del fenomeno migratorio è stata alimentata da partiti xenofobi di destra come la Lega Nord e Fratelli d’Italia, e da leader politici come Umberto Bossi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, attuale Presidente del Consiglio italiano.

    I media italiani hanno spesso scelto di essere complici della politica xenofoba. Hanno avuto un’enorme responsabilità, ad esempio, nel tessere una narrazione della diversità e dell’alterità come strettamente associate all’illegalità e, conseguentemente, alla criminalità, al pericolo, all’insicurezza per la popolazione italiana. Telegiornali, giornali, programmi televisivi di approfondimento e di dibattito hanno, infatti, rappresentato le comunità migranti in maniera sistematicamente selettiva e parziale. I migranti compaiono nei media italiani o nelle narrazioni di sbarchi clandestini sulle nostre coste o nel racconto di episodi di cronaca nera. Quasi mai la comunità migrante è stata, invece, rappresentata quale componente positiva dalla compagine sociale italiana, costituita da lavoratori affidabili, contribuenti onesti, cittadini responsabili, spesso residenti di piccoli comuni delle aree interne di cui contribuiscono a rallentare lo spopolamento, di cui abbiamo anche parlato, qui, sul podcast. Questa narrazione selettiva e distorta ha rafforzato i pregiudizi degli italiani e le loro diffidenze su base etnico-culturale. Per non parlare di un altro fatto: e cioè che i migranti, coloro che vivono il razzismo sulla propria pelle, quasi mai, se non mai, hanno trovato e trovano voce nei media.

    Voglio dunque ricordare in che modo la comunità migrante contribuisce positivamente alla crescita del nostro Paese. Cominciamo dal contrasto all’invecchiamento demografico: la popolazione straniera ha un'età media nettamente più bassa rispetto a quella italiana (circa 35,7 anni contro 46,9).  Proseguiamo col contrasto al calo delle nascite nel Paese: il tasso di natalità tra gli stranieri (10,4 nati ogni mille abitanti) è infatti nettamente superiore a quello tra gli italiani (6,3). Abbiamo parlato di recente del problema drammatico della crisi demografica che abbiamo in Italia. Passiamo al contributo dei migranti nel mercato del lavoro: gli stranieri sono fondamentali soprattutto in settori dove c'è carenza di manodopera, come l'agricoltura, l'edilizia, il lavoro domestico e di cura degli anziani. Sai quanto Valore Aggiunto producono i lavoratori migranti? 164,2 miliardi, dando un contributo al Prodotto Interno Lordo nazionale, al PIL, pari all’8,8%. E quanti sono i lavoratori migranti regolari che regolarmente pagano le tasse e i contributi, e per quali somme? Beh, i contribuenti migranti in Italia sono 4,6 milioni (l’11% del totale) e nel 2023 hanno dichiarato redditi per 72 miliardi di euro, versando 10 miliardi di Irpef, cioè di imposte sui redditi. Queste non sono cifre affatto piccole.

    Confrontando le entrate per lo Stato (le tasse pagate e i contributi pensionistici versati) con la spesa pubblica per i servizi di welfare (quindi la sanità e le pensioni al primo posto), il saldo, per quanto riguarda la componente migrante della popolazione, è positivo: +1,2 miliardi di euro. Cioè, lo Stato riceve più soldi dai migranti rispetto a quelli che spende per loro. Gli stranieri, infatti, in quanto più giovani degli italiani, in quanto prevalentemente in età lavorativa, hanno un basso impatto sulle principali voci di spesa pubblica come sanità e pensioni. Abbiamo parlato anche nell’episodio sulla crisi demografica, quanto le pensioni gravino sulle casse dello Stato.

    Ricordando le ragioni per cui è desiderabile che la popolazione italiana includa una componente migrante, non stiamo però negando un’altra realtà: è comune, in Italia come altrove, che i migranti, se clandestinizzati, se gli si nega cioè la possibilità di risiedere regolarmente nel Paese, di lavorare in maniera regolare, finiscano in situazioni di disagio socio-economico, e vengano indotti alla criminalità come unica opzione di sopravvivenza. Non è il colore della pelle né l’etnia, dunque, bensì la marginalizzazione, l’irregolarità istituzionalizzata che spiegano la maggiore delittuosità dei migranti. Pertanto, la soluzione per una convivenza sociale più sicura e a bassa incidenza di criminalità è evidente: non può che risiedere nell’inclusione. Non abbiamo altre strade. Con questo non voglio certo dire che sia facile, e che non ci siano problemi legati all’incontro tra culture, anche culture molto diverse: è normale che ci siano attriti, è normale che ci siano difficoltà. Ma la realtà, dal mio punto di vista, è che non ci sono altre strade, considerando anche quello che abbiamo detto sul fatto che gli italiani non fanno figli e, se non si fanno figli, ci sono meno lavoratori che pagano le tasse, che sostengono gli anziani che ricevono le pensioni, che sostengono la sanità… insomma, non può andare avanti la macchina, la macchina dello Stato, semplicemente.

    Fatta queste serie di premesse, torniamo alla domanda con cui abbiamo iniziato l’episodio. Secondo un’indagine del Censis, il 40,8% della popolazione è convinto che gli italiani siano razzisti, e la percentuale raggiunge il 47,2% tra i 18-34enni. In più, il 58,5% ritiene che il razzismo sia in aumento. Per il 52,2% dei giovani di seconda generazione, nati cioè in Italia da almeno un genitore con passato migratorio o cresciuti nel nostro Paese, gli italiani SONO razzisti. Questi giovani hanno in mente episodi precisi: il 62,4% ha subito discriminazioni in passato, il 26% ne è ancora vittima e il 75% conosce ragazzi di origine straniera, a loro volta, vittime di discriminazioni.

    Per offrirti un esempio concreto di come il razzismo si manifesti nell’Italia di oggi, sono andato a curiosare nella pagina Facebook di Antonella Bundu, candidata per la lista politica Toscana Rossa alle elezioni regionali in Toscana. Sotto al suo post del 7 ottobre, in cui commenta certe pagelle date dal quotidiano La Nazione a un confronto elettorale, ci si imbatte in un commento di un utente che dichiara, rivolgendosi alla candidata:

    “Quelli come te vogliono il potere per vendicarsi di qualcosa, prendono di mira qualcuno, in questo caso i bianchi fascisti e quelli che non la pensano come te, e poi cosa fai? Gli fai tagliare le braccia con il machete, la famosa “manica corta” o “manica lunga” come usava al tuo paese, cioè taglio al gomito o alla spalla? Quelli come voi una volta al potere diventano (…) tutti macellai e cannibali, ché questo è il vostro istinto genetico.”

    Quello che ti ho appena offerto è un esempio da manuale di hate speech, di discorso d’odio. In base ai dati OSCAD, l’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori, nel 2023 le forze di polizia hanno registrato in Italia ben 1106 reati d’odio, di cui 771 commessi sulla base di ragioni legate alla razza, al colore della pelle o all’etnia. Che poi, come abbiamo visto, la razza no esiste, quindi…

    Le tipologie di reato includono l’incitamento alla violenza, l’esercizio della violenza, la profanazione di tombe, furti, comportamenti minatori, danneggiamento di proprietà, attacchi contro luoghi di culto, atti di vandalismo, molestie e violenze sessuali e, infine, l’omicidio. È importante ricordare che l’omicidio razziale non è che la punta dell’iceberg: la manifestazione più violenta di una xenofobia che, per lo più, è sommersa, o si esprime con gesti meno eclatanti ma altrettanto gravi, proprio perché espressione di una stessa cultura, quella dell’odio nei confronti dell’altro da me, del diverso.

    L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali ci ricorda quali sono questi altri comportamenti discriminatori più sottili, e che, proprio per questo, rischiano di passare non percepiti. Partiamo dal diritto alla casa, e dall’accesso a prestazioni sociali quali l’edilizia residenziale pubblica. Alcune Regioni, Provincie o Comuni hanno adottato Regolamenti che prevedono uno specifico punteggio assegnato sulla base dell’anzianità di residenza in un determinato territorio che permette, appunto, di accedere alle case popolari, aL’edilizia residenziale pubblica. Questo requisito comporta una discriminazione indiretta per tutti quelli che, per la maggior parte stranieri, sono residenti da minor tempo rispetto a chi è nato e cresciuto in quello stesso Comune. La Corte Costituzionale, con un sentenza, è intervenuta chiarendo in modo definitivo che questo requisito è illegittimo.

    Anche l’utilizzo di un linguaggio razzista configura una discriminazione, come è avvenuto nel caso di un foglio illustrativo di un farmaco che utilizzava il termine “pazienti di razza nera”. Alla luce del significato discriminatorio che l’utilizzo del termine “razza nera” assume, nonché dell’obsolescenza scientifica di tale linguaggio, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali è intervenuto per richiedere alla società farmaceutica produttrice e all’Agenzia Italiana del Farmaco la sostituzione della parola "razza” con termini come “popolazione e/o etnie”, che non presentano una connotazione razzista.

    Un altro ambito in cui episodi di discriminazione continuano a manifestarsi con preoccupante frequenza è quello sportivo, in particolare negli stadi di calcio. I cori razzisti rivolti a giocatori di origine africana o di diversa etnia rappresentano una delle forme più evidenti di razzismo collettivo. Emblematico è il caso verificatosi nel 2023 durante la partita tra Udinese e Milan, quando il calciatore Mike Maignan è stato bersaglio di insulti razzisti provenienti dagli spalti, episodio che ha portato alla momentanea sospensione dell’incontro. Ma è solo un esempio, tra i tanti che si potrebbero fare: il razzismo negli stadi italiani è una vera piaga, nonostante tutti i tentativi di sensibilizzazione che vengono fatti.

    Ma la prima forma di discriminazione, il peccato originale, per così dire, risiede nel rendere straniero chi straniero non è, nel creare un’alterità laddove l’alterità non esiste affatto. Mi sto riferendo alla discriminazione che discende dallo ius sanguinis, ovvero quel principio di diritto in base al quale la cittadinanza italiana si acquisisce tramite legame di sangue, cioè da genitore o antenato italiano. A causa dello ius sanguinis, i bambini nati da stranieri in territorio italiano, in ospedali italiani, che frequentano asili italiani e scuole italiane, che parlano italiano come lingua materna e che a scuola studiano la storia italiana, la geografia italiana, la letteratura italiana, la storia dell’arte italiana, che studiano l’impero Romano, imparano a memoria le poesie di Leopardi e la Divina Commedia di Dante, e mangiano magari spaghetti tutti i giorni, ebbene sì, questi bambini NON sono cittadini italiani, sono resi diversi dai loro compagni di classe e di crescita, ma attenzione: è la legislazione italiana che li rende diversi. Non sono italiani e non possono esserlo, legalmente, fino al raggiungimento della maggiore età, dei 18 anni, quando finalmente possono richiedere la cittadinanza tramite una dichiarazione di elezione. Questa è una cosa che, mi ricordo, è successa ad alcuni compagni delle mie scuole superiori che, una compagna rumena e un compagno polacco, che erano italiani quanto me, francamente, e vivevano in Italia da tutta la vita, parlavano italiano come me, avevano fatto la scuola in Italia, eppure non erano italiani, non avevano gli stessi diritti come me. La loro vita era molto più complicata per il semplice fatto di essere nati da genitori stranieri.

    La cittadinanza eventualmente richiesta e ottenuta al raggiungimento della maggiore età non è ancora una garanzia della fine delle discriminazioni. Non si finisce di essere considerati stranieri, soprattutto quando si ha la pelle nera, anche se i documenti ormai attestano il contrario. Il pensiero non può non andare alle atlete e agli atleti italiani di discendenza africana così frequentemente vittime di discorsi d’odio. Per offrirti degli esempi, e per farmi un po’ del male, sono andato alla ricerca di alcuni commenti razzisti ai danni della nazionale femminile di pallavolo. Ebbene, mi sono imbattuto in frasi come le seguenti:

    “Con Adigwe, Antropova, Egonu, Eze, Fahr, Malual, Nwakalor, Omoruyi e Sylla, quella non è una nazionale ma una legione straniera che rappresenta solo se stessa. Stranieri in nazionale = doping sociale.”

    O ancora:

    “Speriamo che volino fino in Africa a lasciare lì quelle africane che non c’entrano niente con l’Italia!”

    Non stupisce se l’Agenzia per l’Unione Europea per i Diritti Fondamentali ha sentito nel 2023 l’esigenza di pubblicare un report dal titolo Essere di colore nell’Unione Europea. Dall’indagine risulta che, nonostante le legislazioni intese a combattere i reati di stampo razzista, in tutta l’Unione Europea le persone di origine africana si trovano ancora a far fronte a pregiudizi ed esclusione. Mi limito a concentrarmi su alcuni risultati che riguardano l’Italia. Il 48% delle persone di origine africana intervistate in Italia ha dichiarato di aver subito molestie e violenze di stampo razzista anche per mano della polizia. Solo il 9% ha denunciato l’episodio di violenza più recente. Il nostro Paese è inoltre quello in cui si registra il più basso livello in Europa di informazione sulla legislazione anti- discriminazione del Paese (solo il 27% degli intervistati ne sono a conoscenza). Particolarmente sconfortanti sono i dati che riguardano la ricerca del lavoro e dell’abitazione. Quasi la metà degli intervistati in Italia (il 46%) si è sentita discriminata a livello razziale nel cercare lavoro; la percentuale media europea, per avere un termine di confronto, si attesta intorno al 25%. Per quanto riguarda l’accesso a un alloggio, e dunque l’esercizio del diritto fondamentale a un’abitazione, la percentuale di chi si è sentito discriminato a livello razziale è pari al 39%; il 31% afferma di non esser proprio riuscito a ottenere un affitto da un proprietario privato a causa della propria origine etnica; ed è per la stessa causa che al 20% è stato chiesto di pagare un canone di affitto più elevato.

    Si potrebbero citare molti altri dati, molte altre percentuali. Non farebbero che confermare che le risposte alle domande che ci si è posti all’inizio di questo podcast sono le seguenti:

    sì, è evidente che una parte della popolazione italiana coltiva sentimenti razzisti;

    la forza di tali sentimenti è variabile, e si manifesta in comportamenti più o meno violenti, fino all’estremo dell’omicidio razziale;

    le vittime privilegiate dei sentimenti di odio razzista sono le persone di origine africana, ma non sono risparmiati slavi, albanesi, rumeni, sinthi e rom;

    le disuguaglianze si manifestano in varie sfere della vita sociale.

    Ma la risposta alla nostra domanda iniziale è anche un’altra:

    no, una parte della popolazione italiana fortunatamente non è razzista, e si impegna per attuare delle contromisure finalizzate ad arginare il razzismo degli altri.

    Per concludere, l’abbiamo visto in un episodio recente, l’ho già detto anche prima, in questo episodio: l’Italia è un Paese che invecchia e che si svuota. Se guardiamo i dati, è evidente che l’immigrazione non è solo un fenomeno inevitabile, perché le persone si spostano, l’hanno sempre fatto e sempre lo faranno, ma una necessità per la sopravvivenza stessa del nostro sistema sociale ed economico. È chiaro che l’incontro tra culture diverse può generare attriti, incomprensioni, difficoltà: non sto dicendo che l’inclusione e l’integrazione sia facile, anzi. È molto difficile. Ma la differenza sta nel modo in cui scegliamo di reagire a queste difficoltà.

    Quello che, personalmente, mi preoccupa per il futuro dell’Italia non è l’immigrazione in sé, ma la nostra incapacità di accettarla. Perché se continueremo a respingerla, a rifiutare questa trasformazione che è ormai inevitabile, beh la crisi demografica ci colpirà, ci colpirà forte, e ci colpirà dritti sui denti.

    Siamo arrivati alla fine dell’episodio che, mi rendo conto, è un po’ più triste e pesante di altri. Se vogliamo trovare una nota positiva, comunque, è che, fortunatamente, come ho detto prima, non tutti gli italiani sono razzisti e sono xenofobi, e quindi cercando di guardare il lato positivo ricordiamoci di questo.

    Questo è tutto per oggi. Ti ricordo due cose: la prima è che, se ti piace Podcast Italiano, puoi lasciare una valutazione a cinque stelle dove ci ascolti, su Spotify, su Apple podcast. Come vedi, cerchiamo di portare su Podcast Italiano anche anche temi difficili, temi scomodi: ci piace parlare dei problemi dell’Italia di tanto in tanto, oltre ovviamente alle sue bellezze che tutti amiamo, perché voglio mostrarti l’Italia reale, come ormai sai, se mi conosci. Quindi, se ti piace questo sforzo, dacci un voto positivo, dacci cinque stelle, lo apprezzeremo davvero molto. Detto questo, se vuoi rileggere la trascrizione con il glossario di tutte le parole ed espressioni più difficili, che magari non conosci, ti invito a dare un’occhiata alla pagina sul nostro sito, podcastitaliano.com, ti lascio il link nelle note di questo episodio. La trascrizione e il glossario sono strumenti preziosi, quindi dagli un’occhiata perché ti aiuteranno molto ad accrescere il tuo vocabolario.

    In Italia, oggi, sono 5 milioni e 422mila gli stranieri residenti, corrispondenti al 9,2% della popolazione totale, come riportato dall'Istituto Nazionale di Statistica. Il dato è aggiornato al 1° gennaio 2025. 5 milioni e mezzo di stranieri su una popolazione totale di 59 milioni.

    Dal 58° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, apprendiamo inoltre che, nel 2023, i nati da almeno un genitore straniero sono il 21,3% del totale: quindi un neonato su cinque. Gli alunni stranieri, con cittadinanza non italiana, iscritti nelle scuole nell’anno scolastico 2023/2024 rappresentano l’11,6% del totale; le coppie con almeno un componente straniero sono il 10,1%; e sono oltre un milione i minori stranieri residenti in Italia: l’11,8% del totale.

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    Trascrizione interattiva dell'episodio

    Questi dati, sulla presenza degli stranieri in Italia e sull’incidenza della componente migrante sulla popolazione totale, ci inducono a interrogarci sulla questione dell’accoglienza. Le domande che ci poniamo sono: come vivono gli italiani la presenza di così tanti stranieri in Italia? Si tratta di una presenza vissuta positivamente, valorizzata, soltanto accettata, appena tollerata o, invece, perfino sgradita? In altre parole, quello che ci stiamo chiedendo è: l’Italia di oggi è un Paese razzista, o no?

    Questo è Podcast Italiano, un podcast per imparare l’italiano attraverso contenuti interessanti e autentici. Stai ascoltando il podcast di livello intermedio o avanzato: se sei alla ricerca di contenuti un po’ più semplici, cerca Podcast Italiano Principiante. L’episodio di oggi è un episodio di livello avanzato, motivo per cui ti consiglio particolarmente di dare un’occhiata alla trascrizione gratuita con glossario che prepariamo per te e che si trova sul nostro sito, podcastitaliano.com. La trascrizione, appunto, contiene un glossario molto dettagliato che ti permetterà di imparare e capire un sacco di parole ed espressioni probabilmente nuove per te. Trovi il link nelle note di questo episodio nell’app dove mi stai ascoltando: Spotify, Apple Podcast o qualsiasi app di podcast. Detto ciò, andiamo.

    Dicevamo: l’Italia è un Paese razzista? Questa domanda, che regolarmente fa capolino nelle aule della politica, nelle aule scolastiche, nei media tradizionali e nei nuovi media, non è affatto una domanda dalla risposta netta. È difficile, se non impossibile, affermare che un intero Paese sia razzista o che non lo sia. È possibile invece scomporre la domanda generale in una serie di micro-domande più specifiche:

    Quante sono le persone che in Italia coltivano sentimenti razzisti?

    Con quale forza?

    Contro chi?

    Attraverso quali comportamenti si manifesta il loro razzismo?

    Quali sono gli ambiti di convivenza sociale in cui si annidano maggiormente le disuguaglianze? Lavoro? Scuola? Abitazione? Cittadinanza?

    Quali sono le contromisure all’intolleranza e alla discriminazione? Cosa si fa, concretamente, per arginare il razzismo?

    Ecco, per tentare di rispondere a queste domande, non possiamo non partire da una definizione della questione. Non possiamo, cioè, non chiederci: ma di cosa parliamo, esattamente, quando parliamo di razzismo?

    Dunque, alla base del razzismo c’è l’idea che non tutti gli esseri umani abbiano uguale valore, e quindi che non tutti debbano avere gli stessi diritti e le stesse opportunità; si ritiene, al contrario, che gli umani vadano differenziati e gerarchizzati in base a fattori come il colore della pelle, la nazionalità, l’origine etnica, la cultura, la religione, perfino la lingua. Alla base del razzismo, quindi, c’è la convinzione che l’umanità sia divisa in gruppi, siano essi razziali, nazionali, etnici, religiosi o linguistici, alcuni dei quali vengono considerati biologicamente o culturalmente superiori ad altri.

    Ricordiamolo, se fosse necessario: per la scienza contemporanea, è assolutamente scorretto parlare di “razze umane”, poiché sotto il profilo biologico, non è possibile identificare un individuo sulla base di un marcatore genetico che possa dividere l’umanità in razze. Proprio per questa ragione, in Italia, con il Decreto Legge 22 aprile 2023, n. 44 si è disposto che “negli atti e nei documenti delle pubbliche amministrazioni il termine: «razza» è sostituito dal seguente: «nazionalità»”.

    Ottima mossa quella del Legislatore italiano. Ma siamo sicuri di essere stati sempre così “brava gente” noi italiani, come ci dipingono spesso fuori dall’Italia?

    Purtroppo no, al contrario. Abbiamo anche noi una triste storia di razzismo nel nostro Paese. Volendo abbozzarne una breve versione, senza andare troppo indietro nel tempo, possiamo affermare che le radici più profonde del razzismo italiano vanno ricercate nel passato coloniale del Paese. Tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento anche l’Italia si macchiò della colpa della violenza coloniale in Africa, dove sottomise Eritrea, Somalia, Libia ed Etiopia. Per giustificare i propri crimini, la macchina propagandistica coloniale diffuse l’idea di una presunta inferiorità delle popolazioni africane. Durante la guerra d’Etiopia (1935-36), il regime fascista introdusse inoltre leggi che vietavano i matrimoni misti e promuovevano la segregazione razziale. Ma la svolta più drammatica avvenne sicuramente nel 1938 con la promulgazione delle leggi razziali contro gli ebrei italiani, i quali furono privati dei loro diritti civili, scolastici e lavorativi, e infine deportati nei campi di concentramento, dove la maggior parte di loro trovò la morte. Se ti interessa questo argomento, ti segnalo la nostra serie di episodi di livello avanzato, proprio dedicata al Fascismo, e che abbiamo recentemente concluso.

    Dopo la fine del Fascismo e della Seconda Guerra Mondiale, per un lungo periodo, il razzismo è stato rimosso dal dibattito pubblico: il ricordo dei crimini d’odio perpetrati era troppo fresco e troppo scomodo per le coscienze del tempo. Solo a partire dagli anni Ottanta, con l’aumento dell’immigrazione verso il nostro Paese, si è riaccesa la paura nei confronti del “diverso”, dell’“altro”. Una tendenza poi proseguita negli anni Duemila, quando il dibattito pubblico ha iniziato a concentrarsi sull’immigrazione falsamente declinata come emergenza, alimentando così un clima di diffidenza e ostilità nei confronti degli stranieri, ma più in particolare degli slavi, degli afro-discendenti, di chiunque abbia la pelle scura, nonché delle popolazioni rom e sinthi. Questa rappresentazione distorta del fenomeno migratorio è stata alimentata da partiti xenofobi di destra come la Lega Nord e Fratelli d’Italia, e da leader politici come Umberto Bossi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, attuale Presidente del Consiglio italiano.

    I media italiani hanno spesso scelto di essere complici della politica xenofoba. Hanno avuto un’enorme responsabilità, ad esempio, nel tessere una narrazione della diversità e dell’alterità come strettamente associate all’illegalità e, conseguentemente, alla criminalità, al pericolo, all’insicurezza per la popolazione italiana. Telegiornali, giornali, programmi televisivi di approfondimento e di dibattito hanno, infatti, rappresentato le comunità migranti in maniera sistematicamente selettiva e parziale. I migranti compaiono nei media italiani o nelle narrazioni di sbarchi clandestini sulle nostre coste o nel racconto di episodi di cronaca nera. Quasi mai la comunità migrante è stata, invece, rappresentata quale componente positiva dalla compagine sociale italiana, costituita da lavoratori affidabili, contribuenti onesti, cittadini responsabili, spesso residenti di piccoli comuni delle aree interne di cui contribuiscono a rallentare lo spopolamento, di cui abbiamo anche parlato, qui, sul podcast. Questa narrazione selettiva e distorta ha rafforzato i pregiudizi degli italiani e le loro diffidenze su base etnico-culturale. Per non parlare di un altro fatto: e cioè che i migranti, coloro che vivono il razzismo sulla propria pelle, quasi mai, se non mai, hanno trovato e trovano voce nei media.

    Voglio dunque ricordare in che modo la comunità migrante contribuisce positivamente alla crescita del nostro Paese. Cominciamo dal contrasto all’invecchiamento demografico: la popolazione straniera ha un'età media nettamente più bassa rispetto a quella italiana (circa 35,7 anni contro 46,9).  Proseguiamo col contrasto al calo delle nascite nel Paese: il tasso di natalità tra gli stranieri (10,4 nati ogni mille abitanti) è infatti nettamente superiore a quello tra gli italiani (6,3). Abbiamo parlato di recente del problema drammatico della crisi demografica che abbiamo in Italia. Passiamo al contributo dei migranti nel mercato del lavoro: gli stranieri sono fondamentali soprattutto in settori dove c'è carenza di manodopera, come l'agricoltura, l'edilizia, il lavoro domestico e di cura degli anziani. Sai quanto Valore Aggiunto producono i lavoratori migranti? 164,2 miliardi, dando un contributo al Prodotto Interno Lordo nazionale, al PIL, pari all’8,8%. E quanti sono i lavoratori migranti regolari che regolarmente pagano le tasse e i contributi, e per quali somme? Beh, i contribuenti migranti in Italia sono 4,6 milioni (l’11% del totale) e nel 2023 hanno dichiarato redditi per 72 miliardi di euro, versando 10 miliardi di Irpef, cioè di imposte sui redditi. Queste non sono cifre affatto piccole.

    Confrontando le entrate per lo Stato (le tasse pagate e i contributi pensionistici versati) con la spesa pubblica per i servizi di welfare (quindi la sanità e le pensioni al primo posto), il saldo, per quanto riguarda la componente migrante della popolazione, è positivo: +1,2 miliardi di euro. Cioè, lo Stato riceve più soldi dai migranti rispetto a quelli che spende per loro. Gli stranieri, infatti, in quanto più giovani degli italiani, in quanto prevalentemente in età lavorativa, hanno un basso impatto sulle principali voci di spesa pubblica come sanità e pensioni. Abbiamo parlato anche nell’episodio sulla crisi demografica, quanto le pensioni gravino sulle casse dello Stato.

    Ricordando le ragioni per cui è desiderabile che la popolazione italiana includa una componente migrante, non stiamo però negando un’altra realtà: è comune, in Italia come altrove, che i migranti, se clandestinizzati, se gli si nega cioè la possibilità di risiedere regolarmente nel Paese, di lavorare in maniera regolare, finiscano in situazioni di disagio socio-economico, e vengano indotti alla criminalità come unica opzione di sopravvivenza. Non è il colore della pelle né l’etnia, dunque, bensì la marginalizzazione, l’irregolarità istituzionalizzata che spiegano la maggiore delittuosità dei migranti. Pertanto, la soluzione per una convivenza sociale più sicura e a bassa incidenza di criminalità è evidente: non può che risiedere nell’inclusione. Non abbiamo altre strade. Con questo non voglio certo dire che sia facile, e che non ci siano problemi legati all’incontro tra culture, anche culture molto diverse: è normale che ci siano attriti, è normale che ci siano difficoltà. Ma la realtà, dal mio punto di vista, è che non ci sono altre strade, considerando anche quello che abbiamo detto sul fatto che gli italiani non fanno figli e, se non si fanno figli, ci sono meno lavoratori che pagano le tasse, che sostengono gli anziani che ricevono le pensioni, che sostengono la sanità… insomma, non può andare avanti la macchina, la macchina dello Stato, semplicemente.

    Fatta queste serie di premesse, torniamo alla domanda con cui abbiamo iniziato l’episodio. Secondo un’indagine del Censis, il 40,8% della popolazione è convinto che gli italiani siano razzisti, e la percentuale raggiunge il 47,2% tra i 18-34enni. In più, il 58,5% ritiene che il razzismo sia in aumento. Per il 52,2% dei giovani di seconda generazione, nati cioè in Italia da almeno un genitore con passato migratorio o cresciuti nel nostro Paese, gli italiani SONO razzisti. Questi giovani hanno in mente episodi precisi: il 62,4% ha subito discriminazioni in passato, il 26% ne è ancora vittima e il 75% conosce ragazzi di origine straniera, a loro volta, vittime di discriminazioni.

    Per offrirti un esempio concreto di come il razzismo si manifesti nell’Italia di oggi, sono andato a curiosare nella pagina Facebook di Antonella Bundu, candidata per la lista politica Toscana Rossa alle elezioni regionali in Toscana. Sotto al suo post del 7 ottobre, in cui commenta certe pagelle date dal quotidiano La Nazione a un confronto elettorale, ci si imbatte in un commento di un utente che dichiara, rivolgendosi alla candidata:

    “Quelli come te vogliono il potere per vendicarsi di qualcosa, prendono di mira qualcuno, in questo caso i bianchi fascisti e quelli che non la pensano come te, e poi cosa fai? Gli fai tagliare le braccia con il machete, la famosa “manica corta” o “manica lunga” come usava al tuo paese, cioè taglio al gomito o alla spalla? Quelli come voi una volta al potere diventano (…) tutti macellai e cannibali, ché questo è il vostro istinto genetico.”

    Quello che ti ho appena offerto è un esempio da manuale di hate speech, di discorso d’odio. In base ai dati OSCAD, l’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori, nel 2023 le forze di polizia hanno registrato in Italia ben 1106 reati d’odio, di cui 771 commessi sulla base di ragioni legate alla razza, al colore della pelle o all’etnia. Che poi, come abbiamo visto, la razza no esiste, quindi…

    Le tipologie di reato includono l’incitamento alla violenza, l’esercizio della violenza, la profanazione di tombe, furti, comportamenti minatori, danneggiamento di proprietà, attacchi contro luoghi di culto, atti di vandalismo, molestie e violenze sessuali e, infine, l’omicidio. È importante ricordare che l’omicidio razziale non è che la punta dell’iceberg: la manifestazione più violenta di una xenofobia che, per lo più, è sommersa, o si esprime con gesti meno eclatanti ma altrettanto gravi, proprio perché espressione di una stessa cultura, quella dell’odio nei confronti dell’altro da me, del diverso.

    L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali ci ricorda quali sono questi altri comportamenti discriminatori più sottili, e che, proprio per questo, rischiano di passare non percepiti. Partiamo dal diritto alla casa, e dall’accesso a prestazioni sociali quali l’edilizia residenziale pubblica. Alcune Regioni, Provincie o Comuni hanno adottato Regolamenti che prevedono uno specifico punteggio assegnato sulla base dell’anzianità di residenza in un determinato territorio che permette, appunto, di accedere alle case popolari, aL’edilizia residenziale pubblica. Questo requisito comporta una discriminazione indiretta per tutti quelli che, per la maggior parte stranieri, sono residenti da minor tempo rispetto a chi è nato e cresciuto in quello stesso Comune. La Corte Costituzionale, con un sentenza, è intervenuta chiarendo in modo definitivo che questo requisito è illegittimo.

    Anche l’utilizzo di un linguaggio razzista configura una discriminazione, come è avvenuto nel caso di un foglio illustrativo di un farmaco che utilizzava il termine “pazienti di razza nera”. Alla luce del significato discriminatorio che l’utilizzo del termine “razza nera” assume, nonché dell’obsolescenza scientifica di tale linguaggio, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali è intervenuto per richiedere alla società farmaceutica produttrice e all’Agenzia Italiana del Farmaco la sostituzione della parola "razza” con termini come “popolazione e/o etnie”, che non presentano una connotazione razzista.

    Un altro ambito in cui episodi di discriminazione continuano a manifestarsi con preoccupante frequenza è quello sportivo, in particolare negli stadi di calcio. I cori razzisti rivolti a giocatori di origine africana o di diversa etnia rappresentano una delle forme più evidenti di razzismo collettivo. Emblematico è il caso verificatosi nel 2023 durante la partita tra Udinese e Milan, quando il calciatore Mike Maignan è stato bersaglio di insulti razzisti provenienti dagli spalti, episodio che ha portato alla momentanea sospensione dell’incontro. Ma è solo un esempio, tra i tanti che si potrebbero fare: il razzismo negli stadi italiani è una vera piaga, nonostante tutti i tentativi di sensibilizzazione che vengono fatti.

    Ma la prima forma di discriminazione, il peccato originale, per così dire, risiede nel rendere straniero chi straniero non è, nel creare un’alterità laddove l’alterità non esiste affatto. Mi sto riferendo alla discriminazione che discende dallo ius sanguinis, ovvero quel principio di diritto in base al quale la cittadinanza italiana si acquisisce tramite legame di sangue, cioè da genitore o antenato italiano. A causa dello ius sanguinis, i bambini nati da stranieri in territorio italiano, in ospedali italiani, che frequentano asili italiani e scuole italiane, che parlano italiano come lingua materna e che a scuola studiano la storia italiana, la geografia italiana, la letteratura italiana, la storia dell’arte italiana, che studiano l’impero Romano, imparano a memoria le poesie di Leopardi e la Divina Commedia di Dante, e mangiano magari spaghetti tutti i giorni, ebbene sì, questi bambini NON sono cittadini italiani, sono resi diversi dai loro compagni di classe e di crescita, ma attenzione: è la legislazione italiana che li rende diversi. Non sono italiani e non possono esserlo, legalmente, fino al raggiungimento della maggiore età, dei 18 anni, quando finalmente possono richiedere la cittadinanza tramite una dichiarazione di elezione. Questa è una cosa che, mi ricordo, è successa ad alcuni compagni delle mie scuole superiori che, una compagna rumena e un compagno polacco, che erano italiani quanto me, francamente, e vivevano in Italia da tutta la vita, parlavano italiano come me, avevano fatto la scuola in Italia, eppure non erano italiani, non avevano gli stessi diritti come me. La loro vita era molto più complicata per il semplice fatto di essere nati da genitori stranieri.

    La cittadinanza eventualmente richiesta e ottenuta al raggiungimento della maggiore età non è ancora una garanzia della fine delle discriminazioni. Non si finisce di essere considerati stranieri, soprattutto quando si ha la pelle nera, anche se i documenti ormai attestano il contrario. Il pensiero non può non andare alle atlete e agli atleti italiani di discendenza africana così frequentemente vittime di discorsi d’odio. Per offrirti degli esempi, e per farmi un po’ del male, sono andato alla ricerca di alcuni commenti razzisti ai danni della nazionale femminile di pallavolo. Ebbene, mi sono imbattuto in frasi come le seguenti:

    “Con Adigwe, Antropova, Egonu, Eze, Fahr, Malual, Nwakalor, Omoruyi e Sylla, quella non è una nazionale ma una legione straniera che rappresenta solo se stessa. Stranieri in nazionale = doping sociale.”

    O ancora:

    “Speriamo che volino fino in Africa a lasciare lì quelle africane che non c’entrano niente con l’Italia!”

    Non stupisce se l’Agenzia per l’Unione Europea per i Diritti Fondamentali ha sentito nel 2023 l’esigenza di pubblicare un report dal titolo Essere di colore nell’Unione Europea. Dall’indagine risulta che, nonostante le legislazioni intese a combattere i reati di stampo razzista, in tutta l’Unione Europea le persone di origine africana si trovano ancora a far fronte a pregiudizi ed esclusione. Mi limito a concentrarmi su alcuni risultati che riguardano l’Italia. Il 48% delle persone di origine africana intervistate in Italia ha dichiarato di aver subito molestie e violenze di stampo razzista anche per mano della polizia. Solo il 9% ha denunciato l’episodio di violenza più recente. Il nostro Paese è inoltre quello in cui si registra il più basso livello in Europa di informazione sulla legislazione anti- discriminazione del Paese (solo il 27% degli intervistati ne sono a conoscenza). Particolarmente sconfortanti sono i dati che riguardano la ricerca del lavoro e dell’abitazione. Quasi la metà degli intervistati in Italia (il 46%) si è sentita discriminata a livello razziale nel cercare lavoro; la percentuale media europea, per avere un termine di confronto, si attesta intorno al 25%. Per quanto riguarda l’accesso a un alloggio, e dunque l’esercizio del diritto fondamentale a un’abitazione, la percentuale di chi si è sentito discriminato a livello razziale è pari al 39%; il 31% afferma di non esser proprio riuscito a ottenere un affitto da un proprietario privato a causa della propria origine etnica; ed è per la stessa causa che al 20% è stato chiesto di pagare un canone di affitto più elevato.

    Si potrebbero citare molti altri dati, molte altre percentuali. Non farebbero che confermare che le risposte alle domande che ci si è posti all’inizio di questo podcast sono le seguenti:

    sì, è evidente che una parte della popolazione italiana coltiva sentimenti razzisti;

    la forza di tali sentimenti è variabile, e si manifesta in comportamenti più o meno violenti, fino all’estremo dell’omicidio razziale;

    le vittime privilegiate dei sentimenti di odio razzista sono le persone di origine africana, ma non sono risparmiati slavi, albanesi, rumeni, sinthi e rom;

    le disuguaglianze si manifestano in varie sfere della vita sociale.

    Ma la risposta alla nostra domanda iniziale è anche un’altra:

    no, una parte della popolazione italiana fortunatamente non è razzista, e si impegna per attuare delle contromisure finalizzate ad arginare il razzismo degli altri.

    Per concludere, l’abbiamo visto in un episodio recente, l’ho già detto anche prima, in questo episodio: l’Italia è un Paese che invecchia e che si svuota. Se guardiamo i dati, è evidente che l’immigrazione non è solo un fenomeno inevitabile, perché le persone si spostano, l’hanno sempre fatto e sempre lo faranno, ma una necessità per la sopravvivenza stessa del nostro sistema sociale ed economico. È chiaro che l’incontro tra culture diverse può generare attriti, incomprensioni, difficoltà: non sto dicendo che l’inclusione e l’integrazione sia facile, anzi. È molto difficile. Ma la differenza sta nel modo in cui scegliamo di reagire a queste difficoltà.

    Quello che, personalmente, mi preoccupa per il futuro dell’Italia non è l’immigrazione in sé, ma la nostra incapacità di accettarla. Perché se continueremo a respingerla, a rifiutare questa trasformazione che è ormai inevitabile, beh la crisi demografica ci colpirà, ci colpirà forte, e ci colpirà dritti sui denti.

    Siamo arrivati alla fine dell’episodio che, mi rendo conto, è un po’ più triste e pesante di altri. Se vogliamo trovare una nota positiva, comunque, è che, fortunatamente, come ho detto prima, non tutti gli italiani sono razzisti e sono xenofobi, e quindi cercando di guardare il lato positivo ricordiamoci di questo.

    Questo è tutto per oggi. Ti ricordo due cose: la prima è che, se ti piace Podcast Italiano, puoi lasciare una valutazione a cinque stelle dove ci ascolti, su Spotify, su Apple podcast. Come vedi, cerchiamo di portare su Podcast Italiano anche anche temi difficili, temi scomodi: ci piace parlare dei problemi dell’Italia di tanto in tanto, oltre ovviamente alle sue bellezze che tutti amiamo, perché voglio mostrarti l’Italia reale, come ormai sai, se mi conosci. Quindi, se ti piace questo sforzo, dacci un voto positivo, dacci cinque stelle, lo apprezzeremo davvero molto. Detto questo, se vuoi rileggere la trascrizione con il glossario di tutte le parole ed espressioni più difficili, che magari non conosci, ti invito a dare un’occhiata alla pagina sul nostro sito, podcastitaliano.com, ti lascio il link nelle note di questo episodio. La trascrizione e il glossario sono strumenti preziosi, quindi dagli un’occhiata perché ti aiuteranno molto ad accrescere il tuo vocabolario.

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