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L’Italia è destinata al collasso demografico?

Avanzato
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36

July 27, 2025

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Note e risorse

In questo episodio di livello avanzato, analizziamo uno dei problemi strutturali più preoccupanti dell'Italia contemporanea: la crisi demografica. Con un tasso di natalità di 1,21 figli per donna, l'Italia è tra i paesi meno fecondi al mondo. Esploriamo le cause di questo fenomeno, dalle difficoltà economiche alle politiche inadeguate per le famiglie, e le conseguenze su pensioni, sanità e futuro del paese.

Ascolta l'episodio #28 di livello avanzato "Gli italiani sono un popolo ignorante?"
Scopri Dentro l'Italia, in italiano, il mio corso di livello avanzato prodotto in collaborazione con Marco Cappelli.
Trascrizione

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Se mi conosci e mi segui da un po’ di tempo, sai che su questo podcast mi piace, ogni tanto, parlare di temi non esattamente felici e “positivi”. Lo faccio perché voglio che tu ti faccia un’idea il più completa possibile del mio Paese, dell’Italia, con i suoi aspetti positivi ma anche quelli negativi. Insomma, va bene parlare di cibo, arte, cultura, città pittoresche e paesaggi incantevoli; ma l’Italia è un Paese complicato e che, secondo molti, tra l’altro, sta attraversando un declino economico-sociale, ormai, da svariati decenni e che non sembra accennare a interrompersi.

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Trascrizione interattiva dell'episodio

Il tema di cui vorrei parlare oggi è uno dei pezzi del puzzle di questo declino italiano, forse uno dei pezzi più preoccupanti: sto parlando del calo demografico, così accentuato in Italia da esser definito “crisi” demografica, o “spirale” demografica. Un problema che è collegato ad altri problemi sistemici che affliggono il nostro Paese, come vedremo.

Questo è Podcast Italiano, un podcast per imparare l’italiano attraverso contenuti interessanti e autentici. Stai ascoltando il podcast di livello intermedio o avanzato: se sei alla ricerca di contenuti un po’ più semplici, cerca Podcast Italiano Principiante. L’episodio di oggi è, nel concreto, un episodio di livello avanzato, motivo per cui ti consiglio particolarmente di dare un’occhiata alla trascrizione gratuita che prepariamo per te e che si trova sul nostro sito podcastitaliano.com. La trascrizione contiene un glossario dettagliato che ti permetterà di imparare e capire un sacco di parole ed espressioni probabilmente nuove per te. Trovi il link nelle note di questo episodio nell’app dove mi stai ascoltando: Spotify, Apple Podcast o qualsiasi app di podcast. Detto ciò, andiamo.

Partiamo dalle basi: che cosa si intende con “calo demografico”? Beh, il concetto alla base è molto semplice: un Paese in calo demografico ha più decessi che nascite, più persone che muoiono rispetto alle persone che nascono, i bambini che nascono. È un Paese che non riesce a rinnovare la sua popolazione, la quale diventa sempre più anziana, proprio perché le nuove leve, le nuove generazioni, si fanno via via meno folte, più scarse.

Il problema del calo demografico, causato dalla bassa fertilità, come vedremo, non è un problema solo italiano. È un problema che stanno affrontando, direi, la maggior parte, se non tutti i Paesi più economicamente avanzati del mondo, con una sola eccezione. Rimanendo in Europa, tutti i Paesi più ricchi si trovano da un bel po’ di tempo sotto alla cosiddetta soglia di sostituzione: stiamo parlando di quel livello di nuove nascite che garantisce alla popolazione di rimanere numericamente costante, cioè di non diminuire. Ecco, questa soglia è, forse lo sai già, di 2,1 figli per donna in media. Il numero medio di figli per donna è il cosiddetto tasso di fecondità, o di fertilità, o anche di natalità di un determinato Paese. Se questo tasso è inferiore a 2,1, la popolazione è destinata, matematicamente, a calare con il tempo, al netto, poi, dell’immigrazione, che può contribuire a rimpolpare la demografia. Ah, a proposito: quel 0,1 serve a tener conto dei figli che muoiono prima di farne a loro volta, ma anche di chi emigra e di altri fattori: per questo non si parla di 2 figli per donna ma di 2,1 o, a volte, anche di più. Poi, ovviamente, si tratta di una media: ci saranno donne che faranno cinque figli (poche, in Italia) altre che ne faranno uno (se va bene) e altre che ne faranno zero; la media, comunque, deve essere 2,1, se non si vuole diminuire, come popolazione.

Ecco, ora andiamo a vedere il tasso di fecondità di altri Paesi; prendo dati del 2023 e 2024, quindi recenti. Partiamo dalla Francia, con 1,8 figli per donna. Non male, ma comunque inferiore a 2,1. Il Regno Unito si trova a 1,6, un po’ peggio. Un tasso simile è quello degli Stati Uniti, sempre 1,6. Abbiamo poi la Germania e i Paesi Bassi, con 1,4 circa. L’Austria con 1,3. Ecco: ci rendiamo presto conto che, tra i Paesi sviluppati ed economicamente più avanzati, ce n’è solo uno in cui la popolazione non diminuisce, ma aumenta, ed è Israele, con un tasso di fertilità di 2,8 figli per donna nel 2023. Tutti gli altri stanno diminuendo.

E l’Italia? Come andrà l’Italia? Beh, insomma, visto che ne stiamo parlando, probabilmente ti immagini già la risposta. Ebbene, l’Italia ha un tasso di fecondità totale di 1,21 figli per donna nel 2023, drammaticamente lontano dal 2,1 richiesto. Peggio di noi, in Unione Europea, fanno solo la Spagna con 1,12, Malta con 1,06, e la Lituania con 1,18. Ma dipende dall’anno che si va a guardare e dall’istituto che redige la classifica, perché i dati possono variare leggermente. A volte facciamo meglio, a volte facciamo peggio. Ma, comunque, il dato oggettivo è che le donne, in Europa, fanno figli a un’età sempre maggiore e ne fanno di meno. E ci sono anche alcuni Paesi che fanno pure peggio dell’Italia: la Corea del Sud ha un tasso di fecondità di 0,6, e la Cina di un figlio per donna. L’Italia, comunque, è tra i Paesi meno fecondi al mondo: secondo Population Reference Bureau nel 2024 l’Italia è al 194esimo posto su 209 Stati sovrani. Non benissimo, insomma.

Gli studiosi, come te in questo momento, forse, si interrogano sulle cause di questa diminuzione delle nascite. Al di là delle ragioni economiche, sulle quali torneremo tra un secondo, ci sono anche altre possibili cause. In generale, oggi molte più donne lavorano, rispetto a qualche decennio fa, e come vedremo, è normale che si crei una tensione, una contrapposizione tra desiderio di maternità e ambizioni di carriera (tensione che, in Italia, come vedremo, è ancora più accentuata). Poi ci sono i grandi decenni di cambiamenti sociali e culturali che sono avvenuti negli scorsi decenni e sicuramente hanno influito. Mi viene da pensare alla diffusione dei contraccettivi, banalmente, che sicuramente ha avuto degli effetti negativi sulle nascite involontarie, oltre ovviamente a tutti gli effetti positivi di cui non c’è neanche bisogno di parlare. Poi, probabilmente, c’è un maggiore desiderio di viaggiare, di avere maggiore libertà, che chiaramente un figlio limita (e 2,1 figli limitano ancora di più). Insomma, un tempo il percorso era chiaro: si trovava un partner, ci si sposava, si facevano figli, e magari tutto questo quando si era nei propri vent’anni.

Oggi c’è chi viaggia, c’è chi studia fino a 30 anni, magari facendo un dottorato, c’è chi semplicemente non vuole privarsi della propria libertà. E poi, probabilmente, ha un’influenza anche il calo di religiosità dell’Occidente. Perché la religione, almeno i grandi monoteismi medio-orientali come il Cristianesimo, danno grande importanza alla procreazione: ecco, pare che, almeno negli Stati Uniti, le persone religiose tendano ad avere tassi di fecondità superiori, quindi una certa correlazione dovrebbe esserci. E poi c’è il fatto che oggi vogliamo dare alla nostra prole, ai nostri figli, il nostro stesso tenore di vita, vogliamo che vivano come noi, il che crea grandissime aspettative e porta a rinunciare al compito di far figli, o al desiderio di far figli, se non sembra alla propria portata.

E dunque nessun Paese sviluppato si trova al di sopra della fatidica cifra di 2,1, alla quale la popolazione, appunto, rimane costante. Ma tra i Paesi sviluppati, che fanno pochi figli, non si può fare di tutta l’erba un fascio, perché la situazione è comunque molto variabile: si può fare meglio e si può fare peggio; e poi si può fare molto peggio, come l’Italia. Ci sono Paesi che investono molti soldi in welfare per incentivare le nascite, come quelli scandinavi; anche se gli investimenti non sono evidentemente sufficienti a invertire il calo demografico (beh, evidentemente, non puoi obbligare le persone a procreare se non vogliono), comunque aiutano a frenarlo e a metterci una toppa. C’è poi chi fa ben poco, come l’Italia, dove una coppia che mette al mondo un figlio può ricevere un contributo una tantum di 1.000 euro. Cioè, 1000 euro una volta sola, e basta. Non esattamente un grande incentivo a mettere al mondo un figlio che cambierà irrimediabilmente la tua vita in un clima economico di grande incertezza, come quello italiano, e che secondo alcune stime, richiede dalla nascita alla maggiore età del figlio, qualcosa come 140.000 euro, cioè 645€ per 12 mesi, per 18 anni. E, hai voglia a fare un figlio!

Un grande problema italiano è quello degli asili nido, ovvero l’istruzione che va dagli 0 ai 2 anni, prima della cosiddetta scuola dell’infanzia, scuola materna: in Italia ne mancano molti ed è molto difficoltoso accedervi, sia perché la domanda supera di gran lunga l’offerta, sia perché i costi sono molto alti. Ma non è di certo l’unico problema specifico dell’Italia: l’Italia è un Paese con un’economia stagnante da decenni, in cui non è facile trovare un lavoro stabile, che ti dia le sicurezze necessarie per sostenere economicamente uno o più figli, magari proprio 2,1 figli.

Una delle statistiche più sconcertanti riguarda gli stipendi, nello specifico i salari reali, cioè quello che realmente guadagniamo, considerando anche il potere di acquisto, cioè quanti beni o servizi possiamo permetterci con i nostri sudati guadagni. Perché un conto è vivere in Italia, con i suoi costi, un conto è vivere in Svizzera o in Islanda, dove tutto costa più caro. Ecco, la misura del salario reale ci aiuta proprio a paragonare i Paesi, considerando queste differenze di potere di acquisto. Andiamo un po’ a vedere, dunque, come se la cavano i Paesi europei e come sono andati dagli anni ‘90 ad oggi. Beh, se non ci sorprende che quelli che hanno fatto meglio siano Paesi che partivano da situazioni di maggiore arretratezza economica, come Lituania, Estonia, Lettonia, ma anche Polonia e Irlanda, dobbiamo però constatare che anche gli altri Paesi sviluppati europei sono cresciuti in termini di salari reali. La Francia del 31%, la Germania del 33%, il Belgio e l’Austria del 25%. Bene, come sono andati i salari reali in Italia dal 1990 al 2020? Eh…eh! L’Italia ha totalizzato un sorprendente -2,9%: cioè, i salari reali sono diminuiti. Cioè, un risultato che… non saprei come definirlo… se non “catastrofico”. E dal 2008 ad oggi pare che la diminuzione si sia accentuata, con una perdita dell’8% (sicuramente, poi, la crisi economica iniziata proprio in quell’anno ha contribuito molto). Anche questo è un dato molto pesante, che ci dice qualcosa di semplice, alla fine: che gli italiani stanno diventando più poveri. E, chiaramente, chi ha pochi soldi ci penserà due volte (o tre, o quattro) prima di mettere al mondo un figlio. O 2,1 figli.

Un altro problema è che la gestione dei figli è ancora fortemente sbilanciata sulle donne, per le quali conciliare la genitorialità e il lavoro è ancora molto difficile. Ecco, uno dei dati più scandalosi, dico “scandalosi” proprio, senza mezzi termini, per quanto mi riguarda, è questo: se in Italia il congedo (cioè quel periodo di tempo in cui un genitore può stare a casa per occuparsi del neonato senza perdere lo stipendio) per le madri è di 5 mesi, il congedo di paternità, quindi per i papà, è della bellezza di… tieniti forte… 10 giorni. Questo, inevitabilmente, obbliga la donna a farsi carico, più dell’uomo, della cura del bambino; perché, anche volendo, se sei uomo e hai un lavoro dipendente, dopo 10 giorni devi tornare in azienda, che ti piaccia o no.

In generale, conciliare il desiderio di diventare madre con le proprie ambizioni di carriera, in Italia, è complicatissimo: di fatto la maternità è un ostacolo dal punto di vista lavorativo, ed essere madri porta a meno ore lavorate (molto spesso, perché spesso costringe le madri a lavorare a tempo parziale) e quindi meno soldi. Oppure molti sacrifici. Insomma, per una coppia di genitori, e soprattutto per una donna, decidere di fare un figlio è una scelta da ponderare, da valutare con grande attenzione.

Bene. Cioè male, in realtà. Ma quando è incominciato questo calo demografico? Un tempo, ovviamente, il calo non c’era: dopotutto per calare… beh, devi partire da un punto più alto per arrivare a uno più basso, no? Nel secondo Dopoguerra infatti l’Italia ha visto un aumento delle nascite rispetto agli ultimi anni della guerra, nascite che comunque erano molto più alte di oggi nei periodi pre-guerra. La differenza è che un tempo la mortalità era anche molto più alta, soprattutto la mortalità infantile.

E dunque le nascite tornano ai livelli degli anni immediatamente precedenti la guerra, culminando nel 1964, anno in cui i nuovi italiani furono più di un milione: è il periodo del boom economico, in cui l’Italia si trasforma da un Paese ancora in buona parte contadino a una potenza industriale mondiale nell’arco di pochissimi anni. Da quel momento in poi inizia un calo delle nascite, che si velocizza negli anni ‘70, rallenta negli anni ‘90 e addirittura si inverte nei primi 2000, ma che poi riprende dal 2008 ad oggi a un ritmo piuttosto sostenuto. Ah, se nel 1964 i nuovi nati erano oltre il milione, nel 2022, tale numero è sceso, per la prima volta nei 160 anni di storia italiana, sotto le 400.000 unità. E non c’è motivo di pensare che il calo si arresterà, visti i presupposti.

Al tempo stesso, aumentano i decessi: dagli anni ‘90 in Italia muoiono più persone di quante ne nascano. Questo si spiega col fatto che ci sono più persone rispetto a un tempo, banalmente, nonché più persone che arrivano ad età molto avanzate. Sì, perché l’aspettativa di vita è aumentata vertiginosamente con il progresso tecnologico nel corso del Ventesimo secolo. L’Italia, non so se lo sai, è uno dei Paesi con la più alta aspettativa di vita al mondo. Si vive molto a lungo in Italia. A seconda della misurazione che troviamo, l’Italia si trova comunque regolarmente nella top 10 dei Paesi mondiali in cui si vive più a lungo. O ci si può aspettare di vivere più a lungo.

Ciò significa che queste grandi coorti, questi grandi gruppi di persone anziane che sono nate negli anni ‘20, ‘30, ‘40 iniziano a morire, e siccome sono gruppi molto numerosi, lo fanno in quantità sempre maggiori. Se negli anni ‘80 la fascia di età più rappresentata era quella delle persone di vent’anni (cioè, “le persone di vent’anni” intendo precisamente venti, non 21, 22, 23, ma vent’anni) erano superiori a quelli di qualsiasi altra età (erano quelli nati nel boom economico), oggi la fascia di età più rappresentata è quella delle persone di cinquantanove anni. Cioè, i 59enni sono superiori dei 22enni, dei 90enni, dei 42enni. E anche questo numero è destinato ad aumentare, man mano che inizieranno a lasciarci le generazioni numerose, quelle dei baby boomers, che sono nate dopo la Seconda guerra mondiale.

E dunque la popolazione generale, in Italia, cala, ed è già calata di due milioni di unità tra il 2014 e il 2022. Se ci eravamo abituati a dire che in Italia vivono 60 milioni di persone, beh, non è più così, anche perché i flussi migratori non sono sufficienti a compensare le nascite minori.

Un’altra caratteristica di un Paese con poche nascite ma con un’alta aspettativa di vita è l’invecchiamento della popolazione. L’età media italiana ha superato i 46 anni ed è una delle più alte al mondo, nonché la più alta d’Europa. Questo pone un problema gigantesco per le casse dello Stato, ovvero che queste persone sono già andate o stanno piano piano andando in pensione, il che significa avere diritto a un mantenimento economico dallo Stato, da parte dello Stato. Le pensioni, che sono un altro vaso di pandora a cui si potrebbe dedicare un intero episodio, ma che è legato al tema di oggi, sono… sono un tema molto importante, dunque parliamone.

Un Paese in cui nascono sempre meno persone e ci sono sempre più anziani è un Paese in cui ci sono sempre meno persone che pagano le tasse (problema che è aggravato dalla disoccupazione giovanile che è elevatissima in Italia) e sempre più persone che invece non contribuiscono più, essendo appunto in pensione, e devono, invece, essere mantenute economicamente dallo Stato e, quindi, di fatto, dai lavoratori che pagano i contributi sociali, la previdenza sociale. Una precisione importante: in Italia i contributi pensionistici che un lavoratore paga non vengono messi da parte, in una cassaforte, come se fossero un tesoretto che gli viene restituito al momento della pensione; no, vengono invece usati subito dallo Stato per pagare i pensionati attualmente in vita. Ok? Vengono presi e usati. Questo sistema si chiama, in economia, “pay as you go”: “paga via via”, dicamo così. Le generazioni giovani pagano le pensioni di quelle più anziane, in un patto generazionale, inter-generazionale, che va avanti ciclicamente. Io, lavorando e contribuendo, pago la pensione agli anziani di oggi, i giovani futuri pagheranno la pensione a me. Ecco, questo è il sistema che abbiamo in Italia (ma che hanno molti Paesi). Il problema penso sia evidente, no? Se ci sono sempre più anziani a cui spetta una pensione e sempre meno lavoratori che pagano le tasse che finanziano quelle pensioni, beh, il sistema non può reggere. E in effetti non ci sorprende che la spesa pensionistica in Italia sia in costante aumento, anno dopo anno.

L’Italia è arrivata a spendere metà del suo bilancio (cioè dei soldi che spende in un anno) in pensioni, una cifra francamente sconcertante. Perché poi, i soldi che io pago come contribuente, non bastano. Bisogna sempre prendere soldi anche dalle altre tasse che paghiamo, perché, appunto, i contributi sociali che pago io (e che pagano gli altri lavoratori) non sono sufficienti per pagare tutte le pensioni. C’è sempre un deficit, come si dice. Ma poi non ci sono solo le pensioni: una popolazione più anziana è una popolazione che ha bisogno di cure mediche, nell’ambito di un sistema di salute pubblica che è sempre più in difficoltà. Questo può portare un Paese a voler, o dover, tassare i propri cittadini ancora di più, per far fronte alle enormi e sempre crescenti spese. Una maggiore tassazione significa innanzitutto mettere in difficoltà le imprese, obbligando quelle che possono ad andarsene via e allontanando gli investimenti dall’estero, ma anche facendo scappare i giovani talentuosi e istruiti che potrebbero contribuire alla crescita economica del Paese con le loro competenze e il loro ingegno.

Sì, perché, questo degli italiani che se ne vanno è un altro degli enormi, giganteschi problemi strutturali dell’Italia: la cosiddetta fuga dei cervelli. Dal 2011 al 2023 più di mezzo milione di italiani tra i 18 e i 34 anni sono emigrati alla ricerca di stipendi più alti, migliori opportunità lavorative, maggiore apertura culturale, anche, maggiore qualità di vita. E, tra l’altro, non è solo una fuga dei cervelli, perché se un tempo ad andarsene erano i profili più qualificati, oggi lasciano l’Italia anche persone meno qualificate, che fanno lavori più umili, che però non vedono opportunità nel proprio Paese, e guadagnerebbero di più altrove. Quindi se ne vanno anche loro in numeri sempre maggiori, contribuendo a che nel Paese rimangano persone sempre più anziane, più stanche, con meno spinta imprenditoriale, meno vitalità, meno propensione al cambiamento. Non è sorprendente, tra l’altro, che il sistema produttivo italiano sia scarsamente innovativo, ancorato a settori in cui va forte storicamente, ma incapace di innovare e creare imprese ad alto valore aggiunto. Beh, poi c’è chi dice che il nostro “petrolio” è il turismo: ne abbiamo già parlato in un altro episodio recentemente, come portare ulteriori turisti in Italia non sia un problema, quindi non ne parlo qui. Comunque anche questo tema, dico quello dell’emigrazione dei giovani, meriterebbe un episodio a parte, ma è un altro pezzo del puzzle. Ah, forse non c’è bisogno di specificarlo, ma l’Italia non è minimamente in grado, a sua volta, di attrarre giovani di talento dall’estero: siamo agli ultimi in Europa in questo. Insomma, man mano che parliamo di questo problema, emergono altri problemi, emerge il quadro preoccupante di un paziente, il Paese Italia, che ha un sacco di malattie, un sacco di problemi tra loro collegati e che sono di difficile soluzione.

Ora parlo per me, faccio un discorso più personale, ma penso che chiunque nato negli anni ‘90 e dopo possa offrire testimonianze simili alla mia. In Italia, noi giovani siamo cresciuti in un clima di generale sfiducia, di mancanza di opportunità, senza un’idea chiara di futuro, senza prospettive. Se negli anni ‘50 e ‘60 c’era un grande ottimismo, c’era una speranza di un futuro migliore, di un progresso che avrebbe sempre migliorato la propria vita, oggi quest’ottimismo e questa speranza perlopiù mancano… mancano completamente, direi. I giovani stessi diventano dunque meno ambiziosi, sfiduciati, evitano il rischio (tra cui il rischio di fare figli), sono più apatici, sono più pessimisti. Molti dei più ambiziosi, lavorativamente parlando, se ne vanno all’estero. Quelli che rimangono si adattano allo scenario attuale ma non hanno le forze di lottare per cambiare le cose, anche politicamente. Anche perché come le cambi, le cose, se fai parte di una minoranza e per arrivare a governare democraticamente devi convincere la maggioranza dei cittadini, di cui molti sono anziani, appunto, a votare per te? “Bisogna puntare sui giovani”: è una formula vuota di cui la politica (che è stata assolutamente inefficiente e incompetente sia da destra che da sinistra) si riempie la bocca, senza poi, però, far nulla di concreto per migliorare le loro condizioni di vita e il loro futuro.

Voglio farti sentire, visto che sto parlando da tanto tempo, voglio farti sentire un estratto della canzone “Goodbye Malinconia” (con l’accento sulla ò, sì) di Caparezza con Tony Hadley, che già nel 2011 parlava del problema dei cervelli in fuga e che a me piace molto. Ti metto il ritornello ma ascoltala tutta perché è molto interessante.

Caparezza: E poi se ne vanno tutti, da qua se ne vanno tutti

Non te ne accorgi, ma da-da-da qua se ne va-vanno tutti

E poi se ne vanno tutti, da qua se ne vanno tutti

Non te ne accorgi, ma da qua se ne vanno tutti

Tony Hadley: Goodbye Malinconia

Caparezza: Come ti sei ridotta in questo stato?

Tony Hadley: Goodbye Malinconia

Caparezza: Dimmi chi ti ha ridotta in questo stato?

Tony Hadley: Goodbye Malinconia

Adoro il gioco di parole tra stato, come “condizione”, e Stato come “Paese”. Ma ascolta la canzone intera perché ti piacerà.

Ora, c’è chi magari potrebbe chiedersi se un calo demografico sia effettivamente poi tutto questo problema. C’è chi dice che siamo già troppi sul pianeta Terra, e che non sarebbe necessariamente un male se fossimo un po’ di meno. Beh, abbiamo visto il problema delle pensioni e del sistema sanitario, e di come… insomma… questo calo demografico, questa crisi demografica danneggerebbe una popolazione più anziana con sempre meno giovani in termini assoluti, oltre che anche i giovani stessi che, appunto, sono incentivati ad andarsene. E abbiamo già visto che questo avrebbe la conseguenza di rendere la popolazione meno imprenditoriale, meno energica, meno creativa, più ancorata al passato e alla nostalgia, o alla malinconia, come direbbe Caparezza. Più conservatrice, ostile al nuovo e al cambiamento. Abbiamo già visto tutto questo che, tra l’altro, avviene in un Paese fondamentalmente e oggettivamente ignorante, che non è dotato delle conoscenze minime necessarie nel mondo di oggi, come emerge da numerosi report dell’OCSE: ne ho parlato nell’episodio di livello Avanzato #28, che è di ben cinque anni fa, ma è ancora tristemente attuale. Purtroppo la scuola italiana non è assolutamente capace di fornire competenze adeguate ai suoi cittadini; e abbiamo visto, poi, che molte delle persone più istruite se ne vanno, lasciando indietro i più ignoranti. So che sembro duro, ma è oggettivamente così; e questo viene misurato, anno dopo anno.

Quali sono le soluzioni? Come abbiamo visto, si può cercare di incentivare, fondamentalmente con i soldi, le persone a fare figli, ma abbiamo anche visto che questo non sembra funzionare granché, anche nei Paesi che lo fanno meglio. C’è poi chi vede nell’immigrazione un possibile pezzo della soluzione. Certo, i numeri dovranno essere molto maggiori rispetto a quelli attuali, come abbiamo visto, per compensare le scarse nascite. E non è affatto detto che aumentare indiscriminatamente i flussi migratori non porti a difficoltà nell’integrazione di milioni di persone, tra l’altro provenienti da culture e usanze diverse dalle nostre, e che potrebbe quindi portare a una loro ghettizzazione e a problemi di ordine pubblico. Perché si sa, il disagio, poi, causa problemi sociali. L’Italia, molto sinceramente, non tratta bene i migranti e fa di tutto per rendergli complicata la vita, a partire dalla complicatissima burocrazia per poter vivere qua legalmente, alle infernali procedure necessarie per conseguire la cittadinanza (persino se sei figlio di immigrati, nato e cresciuto in Italia).

Chi ha il lusso di scegliere dove immigrare, difficilmente viene in Italia, preferendo altri Paesi sviluppati che possano garantire loro condizioni migliori e un trattamento migliore. Chi non può, quindi i più disperati, in fuga da condizioni di vita terrificanti, vengono in Italia ma obtorto collo, cioè sono costretti, vengono controvoglia, e magari sono solo di passaggio; e a questo proposito, tra l’altro, pare che gli stessi immigrati di un tempo, che sono arrivati negli scorsi decenni, se ne stiano andando dall’Italia in numeri sempre maggiori. Persino loro. Insomma, sarà forse inevitabile, e c’è chi prevede un futuro in cui i Paesi sviluppati, tutti, chi più chi meno, in situazioni di crisi demografica, dovranno contendersi i migranti per far fronte al problema nel proprio Paese.

Bene. Ora: il tema migratorio in Italia è molto sentito ed è già stato al centro del dibattito politico e utilizzato abbondantemente dai partiti di destra, che oggi sono al governo, soprattutto tra il 2014 e il 2017, anni in cui l’Italia ha effettivamente ricevuto molta immigrazione: ma l’immigrazione necessaria a compensare le scarse nascite, come abbiamo detto, dovrà essere ancora maggiore di quella. Dunque, come fare a farla accettare agli italiani, come fargliela mandar giù, visto che gli italiani sono già  oggi così restii ad accogliere gli immigrati? Come… come li convinciamo, gli italiani?

C’è infine chi spera in un’utopia tecnologica: un futuro in cui non dovremo più lavorare e le macchine faranno tutto per noi; un futuro magari in cui la nostra sopravvivenza sarà garantita da un reddito universale di base, o Universal Basic Income. Tutto è possibile, per carità, ma si tratta di soluzioni futuribili e che non è detto che vedranno mai la luce. Insomma, quello della crisi demografica è uno… davvero, uno dei più grandi problemi strutturali italiani, che, come abbiamo visto, sono tanti, e sono tutti interconnessi tra di loro come un puzzle. Ed è un problema di cui non si parla granché nel dibattito pubblico: è l’elefante nella stanza, per dirla con un’espressione inglese, che tutti ignoriamo, che facciamo finta che non ci sia, ma che peggiora di anno in anno. Cioè, un elefante che sta diventando sempre più grande e minaccioso nel corso del tempo, e che con il tempo potrebbe diventare, secondo me, uno dei più grandi temi di cui discuteremo, insieme forse… non so, faccio delle previsioni: l’intelligenza artificiale e il cambiamento climatico. Beh, non sono previsioni molto azzardate, bisogna dire.

E niente: siamo arrivati alla fine. Mi rendo conto che l’episodio di oggi non è dei più divertenti, tutt’altro, ma l’ho detto all’inizio: io non voglio dipingere un quadro solo positivo del mio Paese. Forse sbaglio, forse dovrei parlarti solo di cibo, di pizza e mozzarella e architettura, o… non lo so… di… di Capri e Positano! Non lo so, nel caso fammelo sapere nei commenti, che magari per i prossimi episodi mi adeguo! Ma so anche che, a molti di voi, piacciono questi temi un po’ più complicati, diciamo così. E se ti interessano, a proposito, temi complessi come questo, ti piacerà il corso Dentro l’Italia in italiano, il corso di livello avanzato di Podcast Italiano dove ti parliamo anche  (non solo, fortunatamente) dei problemi dell’Italia, ma più in generale di tutti i fenomeni sociali e culturali del Novecento che hanno plasmato l’italia, che l’hanno resa il Paese che è oggi. Tutto questo mentre migliori il tuo italiano e lo porti a un livello avanzato. È davvero un gran corso. Lo so che me lo dico da solo, ma è venuto davvero bene ed è piaciuto un sacco agli studenti che l’hanno fatto. Puoi scoprire Dentro l’Italia al link che ti lascio nelle note di questo episodio.

Bene, spero che il prossimo episodio di livello avanzato sarà un po’ più divertente… anche se… pensandoci… dovrei ancora concludere la serie sul fascismo, quindi… vabbè, l’episodio avanzato ancora successivo sarà divertente, dai… lo spero, me lo auguro. Ti ricordo che, se vuoi, puoi ripassare le parole difficili di questo episodio nello splendido e ricchissimo glossario che offriamo in maniera assolutamente gratuita sul nostro sito. Dai un’occhiata alle note dell’episodio se mi ascolti su Spotify o su altre app, oppure vai direttamente su podcastitaliano.com.

Infine, ultimissima cosa: lascia una recensione a cinque stelle se ti piace Podcast Italiano, e magari anche un commento, o su Spotify o sul sito. Ecco, però, non lasciare un commento con letteralmente 5 emoji di stelle come è successo di recente in un episodio: no, intendo, lascia un commento con le tue osservazioni e poi valuta l’episodio 5 stelle su Spotify. Sono due cose diverse, due azioni separate, ok? Se ti va, ovviamente. Bene, questo è tutto per oggi, alla prossima.

Se mi conosci e mi segui da un po’ di tempo, sai che su questo podcast mi piace, ogni tanto, parlare di temi non esattamente felici e “positivi”. Lo faccio perché voglio che tu ti faccia un’idea il più completa possibile del mio Paese, dell’Italia, con i suoi aspetti positivi ma anche quelli negativi. Insomma, va bene parlare di cibo, arte, cultura, città pittoresche e paesaggi incantevoli; ma l’Italia è un Paese complicato e che, secondo molti, tra l’altro, sta attraversando un declino economico-sociale, ormai, da svariati decenni e che non sembra accennare a interrompersi.

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Trascrizione interattiva dell'episodio

Il tema di cui vorrei parlare oggi è uno dei pezzi del puzzle di questo declino italiano, forse uno dei pezzi più preoccupanti: sto parlando del calo demografico, così accentuato in Italia da esser definito “crisi” demografica, o “spirale” demografica. Un problema che è collegato ad altri problemi sistemici che affliggono il nostro Paese, come vedremo.

Questo è Podcast Italiano, un podcast per imparare l’italiano attraverso contenuti interessanti e autentici. Stai ascoltando il podcast di livello intermedio o avanzato: se sei alla ricerca di contenuti un po’ più semplici, cerca Podcast Italiano Principiante. L’episodio di oggi è, nel concreto, un episodio di livello avanzato, motivo per cui ti consiglio particolarmente di dare un’occhiata alla trascrizione gratuita che prepariamo per te e che si trova sul nostro sito podcastitaliano.com. La trascrizione contiene un glossario dettagliato che ti permetterà di imparare e capire un sacco di parole ed espressioni probabilmente nuove per te. Trovi il link nelle note di questo episodio nell’app dove mi stai ascoltando: Spotify, Apple Podcast o qualsiasi app di podcast. Detto ciò, andiamo.

Partiamo dalle basi: che cosa si intende con “calo demografico”? Beh, il concetto alla base è molto semplice: un Paese in calo demografico ha più decessi che nascite, più persone che muoiono rispetto alle persone che nascono, i bambini che nascono. È un Paese che non riesce a rinnovare la sua popolazione, la quale diventa sempre più anziana, proprio perché le nuove leve, le nuove generazioni, si fanno via via meno folte, più scarse.

Il problema del calo demografico, causato dalla bassa fertilità, come vedremo, non è un problema solo italiano. È un problema che stanno affrontando, direi, la maggior parte, se non tutti i Paesi più economicamente avanzati del mondo, con una sola eccezione. Rimanendo in Europa, tutti i Paesi più ricchi si trovano da un bel po’ di tempo sotto alla cosiddetta soglia di sostituzione: stiamo parlando di quel livello di nuove nascite che garantisce alla popolazione di rimanere numericamente costante, cioè di non diminuire. Ecco, questa soglia è, forse lo sai già, di 2,1 figli per donna in media. Il numero medio di figli per donna è il cosiddetto tasso di fecondità, o di fertilità, o anche di natalità di un determinato Paese. Se questo tasso è inferiore a 2,1, la popolazione è destinata, matematicamente, a calare con il tempo, al netto, poi, dell’immigrazione, che può contribuire a rimpolpare la demografia. Ah, a proposito: quel 0,1 serve a tener conto dei figli che muoiono prima di farne a loro volta, ma anche di chi emigra e di altri fattori: per questo non si parla di 2 figli per donna ma di 2,1 o, a volte, anche di più. Poi, ovviamente, si tratta di una media: ci saranno donne che faranno cinque figli (poche, in Italia) altre che ne faranno uno (se va bene) e altre che ne faranno zero; la media, comunque, deve essere 2,1, se non si vuole diminuire, come popolazione.

Ecco, ora andiamo a vedere il tasso di fecondità di altri Paesi; prendo dati del 2023 e 2024, quindi recenti. Partiamo dalla Francia, con 1,8 figli per donna. Non male, ma comunque inferiore a 2,1. Il Regno Unito si trova a 1,6, un po’ peggio. Un tasso simile è quello degli Stati Uniti, sempre 1,6. Abbiamo poi la Germania e i Paesi Bassi, con 1,4 circa. L’Austria con 1,3. Ecco: ci rendiamo presto conto che, tra i Paesi sviluppati ed economicamente più avanzati, ce n’è solo uno in cui la popolazione non diminuisce, ma aumenta, ed è Israele, con un tasso di fertilità di 2,8 figli per donna nel 2023. Tutti gli altri stanno diminuendo.

E l’Italia? Come andrà l’Italia? Beh, insomma, visto che ne stiamo parlando, probabilmente ti immagini già la risposta. Ebbene, l’Italia ha un tasso di fecondità totale di 1,21 figli per donna nel 2023, drammaticamente lontano dal 2,1 richiesto. Peggio di noi, in Unione Europea, fanno solo la Spagna con 1,12, Malta con 1,06, e la Lituania con 1,18. Ma dipende dall’anno che si va a guardare e dall’istituto che redige la classifica, perché i dati possono variare leggermente. A volte facciamo meglio, a volte facciamo peggio. Ma, comunque, il dato oggettivo è che le donne, in Europa, fanno figli a un’età sempre maggiore e ne fanno di meno. E ci sono anche alcuni Paesi che fanno pure peggio dell’Italia: la Corea del Sud ha un tasso di fecondità di 0,6, e la Cina di un figlio per donna. L’Italia, comunque, è tra i Paesi meno fecondi al mondo: secondo Population Reference Bureau nel 2024 l’Italia è al 194esimo posto su 209 Stati sovrani. Non benissimo, insomma.

Gli studiosi, come te in questo momento, forse, si interrogano sulle cause di questa diminuzione delle nascite. Al di là delle ragioni economiche, sulle quali torneremo tra un secondo, ci sono anche altre possibili cause. In generale, oggi molte più donne lavorano, rispetto a qualche decennio fa, e come vedremo, è normale che si crei una tensione, una contrapposizione tra desiderio di maternità e ambizioni di carriera (tensione che, in Italia, come vedremo, è ancora più accentuata). Poi ci sono i grandi decenni di cambiamenti sociali e culturali che sono avvenuti negli scorsi decenni e sicuramente hanno influito. Mi viene da pensare alla diffusione dei contraccettivi, banalmente, che sicuramente ha avuto degli effetti negativi sulle nascite involontarie, oltre ovviamente a tutti gli effetti positivi di cui non c’è neanche bisogno di parlare. Poi, probabilmente, c’è un maggiore desiderio di viaggiare, di avere maggiore libertà, che chiaramente un figlio limita (e 2,1 figli limitano ancora di più). Insomma, un tempo il percorso era chiaro: si trovava un partner, ci si sposava, si facevano figli, e magari tutto questo quando si era nei propri vent’anni.

Oggi c’è chi viaggia, c’è chi studia fino a 30 anni, magari facendo un dottorato, c’è chi semplicemente non vuole privarsi della propria libertà. E poi, probabilmente, ha un’influenza anche il calo di religiosità dell’Occidente. Perché la religione, almeno i grandi monoteismi medio-orientali come il Cristianesimo, danno grande importanza alla procreazione: ecco, pare che, almeno negli Stati Uniti, le persone religiose tendano ad avere tassi di fecondità superiori, quindi una certa correlazione dovrebbe esserci. E poi c’è il fatto che oggi vogliamo dare alla nostra prole, ai nostri figli, il nostro stesso tenore di vita, vogliamo che vivano come noi, il che crea grandissime aspettative e porta a rinunciare al compito di far figli, o al desiderio di far figli, se non sembra alla propria portata.

E dunque nessun Paese sviluppato si trova al di sopra della fatidica cifra di 2,1, alla quale la popolazione, appunto, rimane costante. Ma tra i Paesi sviluppati, che fanno pochi figli, non si può fare di tutta l’erba un fascio, perché la situazione è comunque molto variabile: si può fare meglio e si può fare peggio; e poi si può fare molto peggio, come l’Italia. Ci sono Paesi che investono molti soldi in welfare per incentivare le nascite, come quelli scandinavi; anche se gli investimenti non sono evidentemente sufficienti a invertire il calo demografico (beh, evidentemente, non puoi obbligare le persone a procreare se non vogliono), comunque aiutano a frenarlo e a metterci una toppa. C’è poi chi fa ben poco, come l’Italia, dove una coppia che mette al mondo un figlio può ricevere un contributo una tantum di 1.000 euro. Cioè, 1000 euro una volta sola, e basta. Non esattamente un grande incentivo a mettere al mondo un figlio che cambierà irrimediabilmente la tua vita in un clima economico di grande incertezza, come quello italiano, e che secondo alcune stime, richiede dalla nascita alla maggiore età del figlio, qualcosa come 140.000 euro, cioè 645€ per 12 mesi, per 18 anni. E, hai voglia a fare un figlio!

Un grande problema italiano è quello degli asili nido, ovvero l’istruzione che va dagli 0 ai 2 anni, prima della cosiddetta scuola dell’infanzia, scuola materna: in Italia ne mancano molti ed è molto difficoltoso accedervi, sia perché la domanda supera di gran lunga l’offerta, sia perché i costi sono molto alti. Ma non è di certo l’unico problema specifico dell’Italia: l’Italia è un Paese con un’economia stagnante da decenni, in cui non è facile trovare un lavoro stabile, che ti dia le sicurezze necessarie per sostenere economicamente uno o più figli, magari proprio 2,1 figli.

Una delle statistiche più sconcertanti riguarda gli stipendi, nello specifico i salari reali, cioè quello che realmente guadagniamo, considerando anche il potere di acquisto, cioè quanti beni o servizi possiamo permetterci con i nostri sudati guadagni. Perché un conto è vivere in Italia, con i suoi costi, un conto è vivere in Svizzera o in Islanda, dove tutto costa più caro. Ecco, la misura del salario reale ci aiuta proprio a paragonare i Paesi, considerando queste differenze di potere di acquisto. Andiamo un po’ a vedere, dunque, come se la cavano i Paesi europei e come sono andati dagli anni ‘90 ad oggi. Beh, se non ci sorprende che quelli che hanno fatto meglio siano Paesi che partivano da situazioni di maggiore arretratezza economica, come Lituania, Estonia, Lettonia, ma anche Polonia e Irlanda, dobbiamo però constatare che anche gli altri Paesi sviluppati europei sono cresciuti in termini di salari reali. La Francia del 31%, la Germania del 33%, il Belgio e l’Austria del 25%. Bene, come sono andati i salari reali in Italia dal 1990 al 2020? Eh…eh! L’Italia ha totalizzato un sorprendente -2,9%: cioè, i salari reali sono diminuiti. Cioè, un risultato che… non saprei come definirlo… se non “catastrofico”. E dal 2008 ad oggi pare che la diminuzione si sia accentuata, con una perdita dell’8% (sicuramente, poi, la crisi economica iniziata proprio in quell’anno ha contribuito molto). Anche questo è un dato molto pesante, che ci dice qualcosa di semplice, alla fine: che gli italiani stanno diventando più poveri. E, chiaramente, chi ha pochi soldi ci penserà due volte (o tre, o quattro) prima di mettere al mondo un figlio. O 2,1 figli.

Un altro problema è che la gestione dei figli è ancora fortemente sbilanciata sulle donne, per le quali conciliare la genitorialità e il lavoro è ancora molto difficile. Ecco, uno dei dati più scandalosi, dico “scandalosi” proprio, senza mezzi termini, per quanto mi riguarda, è questo: se in Italia il congedo (cioè quel periodo di tempo in cui un genitore può stare a casa per occuparsi del neonato senza perdere lo stipendio) per le madri è di 5 mesi, il congedo di paternità, quindi per i papà, è della bellezza di… tieniti forte… 10 giorni. Questo, inevitabilmente, obbliga la donna a farsi carico, più dell’uomo, della cura del bambino; perché, anche volendo, se sei uomo e hai un lavoro dipendente, dopo 10 giorni devi tornare in azienda, che ti piaccia o no.

In generale, conciliare il desiderio di diventare madre con le proprie ambizioni di carriera, in Italia, è complicatissimo: di fatto la maternità è un ostacolo dal punto di vista lavorativo, ed essere madri porta a meno ore lavorate (molto spesso, perché spesso costringe le madri a lavorare a tempo parziale) e quindi meno soldi. Oppure molti sacrifici. Insomma, per una coppia di genitori, e soprattutto per una donna, decidere di fare un figlio è una scelta da ponderare, da valutare con grande attenzione.

Bene. Cioè male, in realtà. Ma quando è incominciato questo calo demografico? Un tempo, ovviamente, il calo non c’era: dopotutto per calare… beh, devi partire da un punto più alto per arrivare a uno più basso, no? Nel secondo Dopoguerra infatti l’Italia ha visto un aumento delle nascite rispetto agli ultimi anni della guerra, nascite che comunque erano molto più alte di oggi nei periodi pre-guerra. La differenza è che un tempo la mortalità era anche molto più alta, soprattutto la mortalità infantile.

E dunque le nascite tornano ai livelli degli anni immediatamente precedenti la guerra, culminando nel 1964, anno in cui i nuovi italiani furono più di un milione: è il periodo del boom economico, in cui l’Italia si trasforma da un Paese ancora in buona parte contadino a una potenza industriale mondiale nell’arco di pochissimi anni. Da quel momento in poi inizia un calo delle nascite, che si velocizza negli anni ‘70, rallenta negli anni ‘90 e addirittura si inverte nei primi 2000, ma che poi riprende dal 2008 ad oggi a un ritmo piuttosto sostenuto. Ah, se nel 1964 i nuovi nati erano oltre il milione, nel 2022, tale numero è sceso, per la prima volta nei 160 anni di storia italiana, sotto le 400.000 unità. E non c’è motivo di pensare che il calo si arresterà, visti i presupposti.

Al tempo stesso, aumentano i decessi: dagli anni ‘90 in Italia muoiono più persone di quante ne nascano. Questo si spiega col fatto che ci sono più persone rispetto a un tempo, banalmente, nonché più persone che arrivano ad età molto avanzate. Sì, perché l’aspettativa di vita è aumentata vertiginosamente con il progresso tecnologico nel corso del Ventesimo secolo. L’Italia, non so se lo sai, è uno dei Paesi con la più alta aspettativa di vita al mondo. Si vive molto a lungo in Italia. A seconda della misurazione che troviamo, l’Italia si trova comunque regolarmente nella top 10 dei Paesi mondiali in cui si vive più a lungo. O ci si può aspettare di vivere più a lungo.

Ciò significa che queste grandi coorti, questi grandi gruppi di persone anziane che sono nate negli anni ‘20, ‘30, ‘40 iniziano a morire, e siccome sono gruppi molto numerosi, lo fanno in quantità sempre maggiori. Se negli anni ‘80 la fascia di età più rappresentata era quella delle persone di vent’anni (cioè, “le persone di vent’anni” intendo precisamente venti, non 21, 22, 23, ma vent’anni) erano superiori a quelli di qualsiasi altra età (erano quelli nati nel boom economico), oggi la fascia di età più rappresentata è quella delle persone di cinquantanove anni. Cioè, i 59enni sono superiori dei 22enni, dei 90enni, dei 42enni. E anche questo numero è destinato ad aumentare, man mano che inizieranno a lasciarci le generazioni numerose, quelle dei baby boomers, che sono nate dopo la Seconda guerra mondiale.

E dunque la popolazione generale, in Italia, cala, ed è già calata di due milioni di unità tra il 2014 e il 2022. Se ci eravamo abituati a dire che in Italia vivono 60 milioni di persone, beh, non è più così, anche perché i flussi migratori non sono sufficienti a compensare le nascite minori.

Un’altra caratteristica di un Paese con poche nascite ma con un’alta aspettativa di vita è l’invecchiamento della popolazione. L’età media italiana ha superato i 46 anni ed è una delle più alte al mondo, nonché la più alta d’Europa. Questo pone un problema gigantesco per le casse dello Stato, ovvero che queste persone sono già andate o stanno piano piano andando in pensione, il che significa avere diritto a un mantenimento economico dallo Stato, da parte dello Stato. Le pensioni, che sono un altro vaso di pandora a cui si potrebbe dedicare un intero episodio, ma che è legato al tema di oggi, sono… sono un tema molto importante, dunque parliamone.

Un Paese in cui nascono sempre meno persone e ci sono sempre più anziani è un Paese in cui ci sono sempre meno persone che pagano le tasse (problema che è aggravato dalla disoccupazione giovanile che è elevatissima in Italia) e sempre più persone che invece non contribuiscono più, essendo appunto in pensione, e devono, invece, essere mantenute economicamente dallo Stato e, quindi, di fatto, dai lavoratori che pagano i contributi sociali, la previdenza sociale. Una precisione importante: in Italia i contributi pensionistici che un lavoratore paga non vengono messi da parte, in una cassaforte, come se fossero un tesoretto che gli viene restituito al momento della pensione; no, vengono invece usati subito dallo Stato per pagare i pensionati attualmente in vita. Ok? Vengono presi e usati. Questo sistema si chiama, in economia, “pay as you go”: “paga via via”, dicamo così. Le generazioni giovani pagano le pensioni di quelle più anziane, in un patto generazionale, inter-generazionale, che va avanti ciclicamente. Io, lavorando e contribuendo, pago la pensione agli anziani di oggi, i giovani futuri pagheranno la pensione a me. Ecco, questo è il sistema che abbiamo in Italia (ma che hanno molti Paesi). Il problema penso sia evidente, no? Se ci sono sempre più anziani a cui spetta una pensione e sempre meno lavoratori che pagano le tasse che finanziano quelle pensioni, beh, il sistema non può reggere. E in effetti non ci sorprende che la spesa pensionistica in Italia sia in costante aumento, anno dopo anno.

L’Italia è arrivata a spendere metà del suo bilancio (cioè dei soldi che spende in un anno) in pensioni, una cifra francamente sconcertante. Perché poi, i soldi che io pago come contribuente, non bastano. Bisogna sempre prendere soldi anche dalle altre tasse che paghiamo, perché, appunto, i contributi sociali che pago io (e che pagano gli altri lavoratori) non sono sufficienti per pagare tutte le pensioni. C’è sempre un deficit, come si dice. Ma poi non ci sono solo le pensioni: una popolazione più anziana è una popolazione che ha bisogno di cure mediche, nell’ambito di un sistema di salute pubblica che è sempre più in difficoltà. Questo può portare un Paese a voler, o dover, tassare i propri cittadini ancora di più, per far fronte alle enormi e sempre crescenti spese. Una maggiore tassazione significa innanzitutto mettere in difficoltà le imprese, obbligando quelle che possono ad andarsene via e allontanando gli investimenti dall’estero, ma anche facendo scappare i giovani talentuosi e istruiti che potrebbero contribuire alla crescita economica del Paese con le loro competenze e il loro ingegno.

Sì, perché, questo degli italiani che se ne vanno è un altro degli enormi, giganteschi problemi strutturali dell’Italia: la cosiddetta fuga dei cervelli. Dal 2011 al 2023 più di mezzo milione di italiani tra i 18 e i 34 anni sono emigrati alla ricerca di stipendi più alti, migliori opportunità lavorative, maggiore apertura culturale, anche, maggiore qualità di vita. E, tra l’altro, non è solo una fuga dei cervelli, perché se un tempo ad andarsene erano i profili più qualificati, oggi lasciano l’Italia anche persone meno qualificate, che fanno lavori più umili, che però non vedono opportunità nel proprio Paese, e guadagnerebbero di più altrove. Quindi se ne vanno anche loro in numeri sempre maggiori, contribuendo a che nel Paese rimangano persone sempre più anziane, più stanche, con meno spinta imprenditoriale, meno vitalità, meno propensione al cambiamento. Non è sorprendente, tra l’altro, che il sistema produttivo italiano sia scarsamente innovativo, ancorato a settori in cui va forte storicamente, ma incapace di innovare e creare imprese ad alto valore aggiunto. Beh, poi c’è chi dice che il nostro “petrolio” è il turismo: ne abbiamo già parlato in un altro episodio recentemente, come portare ulteriori turisti in Italia non sia un problema, quindi non ne parlo qui. Comunque anche questo tema, dico quello dell’emigrazione dei giovani, meriterebbe un episodio a parte, ma è un altro pezzo del puzzle. Ah, forse non c’è bisogno di specificarlo, ma l’Italia non è minimamente in grado, a sua volta, di attrarre giovani di talento dall’estero: siamo agli ultimi in Europa in questo. Insomma, man mano che parliamo di questo problema, emergono altri problemi, emerge il quadro preoccupante di un paziente, il Paese Italia, che ha un sacco di malattie, un sacco di problemi tra loro collegati e che sono di difficile soluzione.

Ora parlo per me, faccio un discorso più personale, ma penso che chiunque nato negli anni ‘90 e dopo possa offrire testimonianze simili alla mia. In Italia, noi giovani siamo cresciuti in un clima di generale sfiducia, di mancanza di opportunità, senza un’idea chiara di futuro, senza prospettive. Se negli anni ‘50 e ‘60 c’era un grande ottimismo, c’era una speranza di un futuro migliore, di un progresso che avrebbe sempre migliorato la propria vita, oggi quest’ottimismo e questa speranza perlopiù mancano… mancano completamente, direi. I giovani stessi diventano dunque meno ambiziosi, sfiduciati, evitano il rischio (tra cui il rischio di fare figli), sono più apatici, sono più pessimisti. Molti dei più ambiziosi, lavorativamente parlando, se ne vanno all’estero. Quelli che rimangono si adattano allo scenario attuale ma non hanno le forze di lottare per cambiare le cose, anche politicamente. Anche perché come le cambi, le cose, se fai parte di una minoranza e per arrivare a governare democraticamente devi convincere la maggioranza dei cittadini, di cui molti sono anziani, appunto, a votare per te? “Bisogna puntare sui giovani”: è una formula vuota di cui la politica (che è stata assolutamente inefficiente e incompetente sia da destra che da sinistra) si riempie la bocca, senza poi, però, far nulla di concreto per migliorare le loro condizioni di vita e il loro futuro.

Voglio farti sentire, visto che sto parlando da tanto tempo, voglio farti sentire un estratto della canzone “Goodbye Malinconia” (con l’accento sulla ò, sì) di Caparezza con Tony Hadley, che già nel 2011 parlava del problema dei cervelli in fuga e che a me piace molto. Ti metto il ritornello ma ascoltala tutta perché è molto interessante.

Caparezza: E poi se ne vanno tutti, da qua se ne vanno tutti

Non te ne accorgi, ma da-da-da qua se ne va-vanno tutti

E poi se ne vanno tutti, da qua se ne vanno tutti

Non te ne accorgi, ma da qua se ne vanno tutti

Tony Hadley: Goodbye Malinconia

Caparezza: Come ti sei ridotta in questo stato?

Tony Hadley: Goodbye Malinconia

Caparezza: Dimmi chi ti ha ridotta in questo stato?

Tony Hadley: Goodbye Malinconia

Adoro il gioco di parole tra stato, come “condizione”, e Stato come “Paese”. Ma ascolta la canzone intera perché ti piacerà.

Ora, c’è chi magari potrebbe chiedersi se un calo demografico sia effettivamente poi tutto questo problema. C’è chi dice che siamo già troppi sul pianeta Terra, e che non sarebbe necessariamente un male se fossimo un po’ di meno. Beh, abbiamo visto il problema delle pensioni e del sistema sanitario, e di come… insomma… questo calo demografico, questa crisi demografica danneggerebbe una popolazione più anziana con sempre meno giovani in termini assoluti, oltre che anche i giovani stessi che, appunto, sono incentivati ad andarsene. E abbiamo già visto che questo avrebbe la conseguenza di rendere la popolazione meno imprenditoriale, meno energica, meno creativa, più ancorata al passato e alla nostalgia, o alla malinconia, come direbbe Caparezza. Più conservatrice, ostile al nuovo e al cambiamento. Abbiamo già visto tutto questo che, tra l’altro, avviene in un Paese fondamentalmente e oggettivamente ignorante, che non è dotato delle conoscenze minime necessarie nel mondo di oggi, come emerge da numerosi report dell’OCSE: ne ho parlato nell’episodio di livello Avanzato #28, che è di ben cinque anni fa, ma è ancora tristemente attuale. Purtroppo la scuola italiana non è assolutamente capace di fornire competenze adeguate ai suoi cittadini; e abbiamo visto, poi, che molte delle persone più istruite se ne vanno, lasciando indietro i più ignoranti. So che sembro duro, ma è oggettivamente così; e questo viene misurato, anno dopo anno.

Quali sono le soluzioni? Come abbiamo visto, si può cercare di incentivare, fondamentalmente con i soldi, le persone a fare figli, ma abbiamo anche visto che questo non sembra funzionare granché, anche nei Paesi che lo fanno meglio. C’è poi chi vede nell’immigrazione un possibile pezzo della soluzione. Certo, i numeri dovranno essere molto maggiori rispetto a quelli attuali, come abbiamo visto, per compensare le scarse nascite. E non è affatto detto che aumentare indiscriminatamente i flussi migratori non porti a difficoltà nell’integrazione di milioni di persone, tra l’altro provenienti da culture e usanze diverse dalle nostre, e che potrebbe quindi portare a una loro ghettizzazione e a problemi di ordine pubblico. Perché si sa, il disagio, poi, causa problemi sociali. L’Italia, molto sinceramente, non tratta bene i migranti e fa di tutto per rendergli complicata la vita, a partire dalla complicatissima burocrazia per poter vivere qua legalmente, alle infernali procedure necessarie per conseguire la cittadinanza (persino se sei figlio di immigrati, nato e cresciuto in Italia).

Chi ha il lusso di scegliere dove immigrare, difficilmente viene in Italia, preferendo altri Paesi sviluppati che possano garantire loro condizioni migliori e un trattamento migliore. Chi non può, quindi i più disperati, in fuga da condizioni di vita terrificanti, vengono in Italia ma obtorto collo, cioè sono costretti, vengono controvoglia, e magari sono solo di passaggio; e a questo proposito, tra l’altro, pare che gli stessi immigrati di un tempo, che sono arrivati negli scorsi decenni, se ne stiano andando dall’Italia in numeri sempre maggiori. Persino loro. Insomma, sarà forse inevitabile, e c’è chi prevede un futuro in cui i Paesi sviluppati, tutti, chi più chi meno, in situazioni di crisi demografica, dovranno contendersi i migranti per far fronte al problema nel proprio Paese.

Bene. Ora: il tema migratorio in Italia è molto sentito ed è già stato al centro del dibattito politico e utilizzato abbondantemente dai partiti di destra, che oggi sono al governo, soprattutto tra il 2014 e il 2017, anni in cui l’Italia ha effettivamente ricevuto molta immigrazione: ma l’immigrazione necessaria a compensare le scarse nascite, come abbiamo detto, dovrà essere ancora maggiore di quella. Dunque, come fare a farla accettare agli italiani, come fargliela mandar giù, visto che gli italiani sono già  oggi così restii ad accogliere gli immigrati? Come… come li convinciamo, gli italiani?

C’è infine chi spera in un’utopia tecnologica: un futuro in cui non dovremo più lavorare e le macchine faranno tutto per noi; un futuro magari in cui la nostra sopravvivenza sarà garantita da un reddito universale di base, o Universal Basic Income. Tutto è possibile, per carità, ma si tratta di soluzioni futuribili e che non è detto che vedranno mai la luce. Insomma, quello della crisi demografica è uno… davvero, uno dei più grandi problemi strutturali italiani, che, come abbiamo visto, sono tanti, e sono tutti interconnessi tra di loro come un puzzle. Ed è un problema di cui non si parla granché nel dibattito pubblico: è l’elefante nella stanza, per dirla con un’espressione inglese, che tutti ignoriamo, che facciamo finta che non ci sia, ma che peggiora di anno in anno. Cioè, un elefante che sta diventando sempre più grande e minaccioso nel corso del tempo, e che con il tempo potrebbe diventare, secondo me, uno dei più grandi temi di cui discuteremo, insieme forse… non so, faccio delle previsioni: l’intelligenza artificiale e il cambiamento climatico. Beh, non sono previsioni molto azzardate, bisogna dire.

E niente: siamo arrivati alla fine. Mi rendo conto che l’episodio di oggi non è dei più divertenti, tutt’altro, ma l’ho detto all’inizio: io non voglio dipingere un quadro solo positivo del mio Paese. Forse sbaglio, forse dovrei parlarti solo di cibo, di pizza e mozzarella e architettura, o… non lo so… di… di Capri e Positano! Non lo so, nel caso fammelo sapere nei commenti, che magari per i prossimi episodi mi adeguo! Ma so anche che, a molti di voi, piacciono questi temi un po’ più complicati, diciamo così. E se ti interessano, a proposito, temi complessi come questo, ti piacerà il corso Dentro l’Italia in italiano, il corso di livello avanzato di Podcast Italiano dove ti parliamo anche  (non solo, fortunatamente) dei problemi dell’Italia, ma più in generale di tutti i fenomeni sociali e culturali del Novecento che hanno plasmato l’italia, che l’hanno resa il Paese che è oggi. Tutto questo mentre migliori il tuo italiano e lo porti a un livello avanzato. È davvero un gran corso. Lo so che me lo dico da solo, ma è venuto davvero bene ed è piaciuto un sacco agli studenti che l’hanno fatto. Puoi scoprire Dentro l’Italia al link che ti lascio nelle note di questo episodio.

Bene, spero che il prossimo episodio di livello avanzato sarà un po’ più divertente… anche se… pensandoci… dovrei ancora concludere la serie sul fascismo, quindi… vabbè, l’episodio avanzato ancora successivo sarà divertente, dai… lo spero, me lo auguro. Ti ricordo che, se vuoi, puoi ripassare le parole difficili di questo episodio nello splendido e ricchissimo glossario che offriamo in maniera assolutamente gratuita sul nostro sito. Dai un’occhiata alle note dell’episodio se mi ascolti su Spotify o su altre app, oppure vai direttamente su podcastitaliano.com.

Infine, ultimissima cosa: lascia una recensione a cinque stelle se ti piace Podcast Italiano, e magari anche un commento, o su Spotify o sul sito. Ecco, però, non lasciare un commento con letteralmente 5 emoji di stelle come è successo di recente in un episodio: no, intendo, lascia un commento con le tue osservazioni e poi valuta l’episodio 5 stelle su Spotify. Sono due cose diverse, due azioni separate, ok? Se ti va, ovviamente. Bene, questo è tutto per oggi, alla prossima.

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