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I vizi degli italiani

Intermedio
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52

June 15, 2025

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Note e risorse

In questo episodio parliamo di alcuni comportamenti problematici diffusi nella società italiana: fumo, alcol, gioco d'azzardo, evasione fiscale e corruzione.

Trascription

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Ho un brutto vizio: mi piace osservare i vizi degli altri. Lo so, non è molto elegante, però mi affascina vedere come certe abitudini, anche quelle più brutte, dicano molto di noi e del nostro modo di vivere. E poi, quando si parla di vizi… beh, noi italiani ne abbiamo una bella collezione. C’è chi non resiste al caffè, chi non riesce a smettere di fumare, chi sogna di diventare milionario grattando un gratta e vinci, giocando alle slot machine o al lotto. Poi c’è chi beve alcool come fosse acqua, chi non paga le tasse e anche chi raccomanda o corrompe sul lavoro. E questi sono solo alcuni dei vizi degli italiani. In quest’episodio, infatti, passeremo in rassegna i vizi più diffusi tra gli italiani. Non per giudicare, eh, ma per capire. Perché dietro ogni vizio c’è una spiegazione, magari psicologica, ma spesso anche culturale.

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Trascrizione interattiva dell'episodio

Ciao e benvenuto, o benvenuta, a un nuovo episodio di livello intermedio di Podcast Italiano. Io sono Irene e questo è un podcast per imparare l'italiano attraverso contenuti interessanti. Come sempre, quest’episodio è accompagnato da una trascrizione gratuita con glossario che contiene la spiegazione di tutte le parole difficili che userò. Ti consiglio di consultarlo, sia il glossario che la trascrizione, perché sono strumenti super utili, soprattutto se vuoi imparare l’italiano senza sforzo. Allora ti lascio il link alla trascrizione nelle note di questo episodio, che trovi nell'app che stai usando per ascoltarmi. Piccola parentesi: perdona la mia voce, è molto bassa, ma sono stata ad una festa e ho cantato a squarciagola. Quindi stamattina ho pochissima voce.

Ora, torniamo a noi: oggi parliamo di un argomento un po’ controverso, un po’ provocatorio, ma anche molto interessante, cioè i vizi degli italiani. Perché sì, anche se gli italiani sono famosi soprattutto per essere affascinanti, stilosi, passionali e simpatici, hanno anche tanti difetti e vizi. E poi, ogni tanto è bene fare un piccolo esercizio di autocritica, e capire quali sono quei difetti, quelle abitudini sbagliate o quei tratti culturali che, nel bene o nel male (come in questo caso), ci caratterizzano. Ovviamente, non si tratta di un attacco agli italiani, io stessa sono italiana, ma piuttosto di un’occasione per riflettere e far conoscere meglio, a te che ascolti, gli abitanti del Paese che tanto ti piace.

Iniziamo da un vizio che, sicuramente, se sei stato o stata in Italia, avrai notato: il fumo. In Europa si fuma tanto, questo si sa, e in Italia, in particolare, il vizio del fumo è uno dei più diffusi e radicati nella società, nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione e le restrizioni legislative degli ultimi decenni. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, circa il 24% della popolazione adulta italiana è fumatrice, e i fumatori sono soprattutto uomini. Praticamente almeno una persona su quattro ogni giorno fuma sigarette, sigari, tabacco trinciato o la sigaretta elettronica. Devo dire che il fumo è spesso visto in Italia come una forma di abitudine sociale: fuori dai bar, nei cortili delle scuole, davanti ai locali o durante le pause di lavoro, si fuma per socializzare, per rilassarsi, per trovare un momento di pausa dallo stress quotidiano. È visto come una specie di rituale condiviso, che crea connessione tra le persone. Questo vale soprattutto per i gruppi di amici, tra colleghi o nei contesti informali, dove spesso la sigaretta diventa un mezzo per “rompere il ghiaccio”. Infatti, purtroppo, sono molti gli adolescenti che iniziano a fumare molto presto, spesso già a partire dai 14 anni. Lo fanno spesso per imitazione o per pressione sociale. La leggerezza con cui i giovani italiani si avvicinano al fumo è davvero allarmante, soprattutto considerando che spesso non hanno una reale consapevolezza dei danni a lungo termine. È comunissimo vedere ragazzi che fumano nei cortili delle scuole superiori, quindi dai 14 anni in su, ma spesso succede anche nelle scuole medie.

Pensa che, fino a tempi relativamente recenti, in Italia si poteva fumare nei locali pubblici al chiuso, come bar, ristoranti e persino uffici. Il divieto di fumo è entrato in vigore solo il 10 gennaio 2005, con la cosiddetta legge Sirchia, che ha finalmente introdotto il divieto di fumo in tutti i locali chiusi, per proteggere i non fumatori dal fumo passivo. Prima di questa legge, il divieto di fumare era già stato introdotto nel 1975, ma solo per alcuni luoghi pubblici specifici, come le corsie degli ospedali, le aule scolastiche e i mezzi di trasporto pubblico. A quanto pare, all’epoca, questo divieto fu un cambiamento culturale grandissimo, che inizialmente venne accolto con scetticismo. Oggi, fortunatamente, le persone sono più consapevoli dei danni del fumo, sia attivo che passivo, e c’è maggiore attenzione verso i non fumatori. Comunque, nonostante tutto, il fumo resta un problema sanitario e culturale gravissimo. I numeri parlano chiaro: secondo il Ministero della Salute, ogni anno in Italia muoiono circa 94.000 persone a causa di malattie collegate al fumo. Parliamo di persone che conoscono i rischi che corrono, ma che sono totalmente assuefatte, mentalmente e fisicamente, che non riescono a smettere. D’altronde, qui parliamo di un vizio che è anche una dipendenza.

Ma cosa c’è di meglio che fumarsi una sigaretta mentre si beve un bel bicchiere di vino? Infatti, un altro vizio molto presente in Italia è quello dell’alcol. In Italia l’alcol è considerato parte integrante della vita quotidiana, proprio come il fumo. Ed è proprio questa “normalità” a rendere difficile riconoscere i segnali di un consumo problematico. L’alcol in Italia non è solo una bevanda: è un simbolo culturale, una tradizione. C’è chi beve un bicchiere di vino a tavola, chi un amaro dopo i pasti, chi uno spritz all’aperitivo, e chi un bel caffè corretto la mattina. Tutto questo sembra innocuo, e spesso lo è, se fatto con moderazione. Ma il problema nasce quando si supera quella soglia sottile che separa il consumo occasionale dall’abuso. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), circa 8 milioni di italiani bevono alcol in maniera rischiosa, e oltre 800.000 hanno un comportamento di tipo alcol-dipendente.

I dati più preoccupanti riguardano i giovani, fra i quali l’abuso di alcol, soprattutto nel fine settimana, è diventato una vera emergenza. Ragazzi e ragazze, anche molto giovani, iniziano a bere per sentirsi accettati, più grandi o più interessanti, insomma, per superare l’insicurezza sociale, con conseguenze spesso gravi, tra cui incidenti stradali, coma etilico e dipendenza. Gli esperti parlano di “abusatori periodici”: giovani che non bevono moderatamente perché, magari, gli piace il sapore dell’alcol, ma solo in modo esagerato e solo il sabato sera, proprio con lo scopo di ubriacarsi. Va anche detto che in Italia il livello di controlli nei locali non è per niente all’altezza del problema: in teoria, chi vende alcol dovrebbe chiedere un documento di identità, a meno che l’età dell’acquirente non sia chiaramente superiore ai 18 anni. Ma, in pratica, purtroppo, molti esercenti o barman ignorano il divieto o chiudono un occhio, specialmente nei locali notturni frequentati da giovani.

Comunque l’alcol non è un problema che riguarda solo i giovani. Un’altra realtà, spesso invisibile o ignorata, è quella delle persone senza fissa dimora, che vivono in condizioni di estrema fragilità, sociale ed economica. In Italia, soprattutto nelle grandi città del Centro, come Roma, e del Sud in generale, molti di questi senzatetto, spesso stranieri, ma non solo, fanno uso di alcol in maniera pesante e continuativa. È importante trattare questo tema con delicatezza e rispetto, evitando giudizi superficiali. Per molte persone che vivono in strada, l’alcol diventa un rifugio: un modo per affrontare il freddo, l’isolamento, la fame, ma anche il dolore, fisico o emotivo, e la perdita della dignità. Spesso queste persone hanno vissuto eventi traumatici, quindi, in questi casi, non so se parlare di “vizio” sia del tutto corretto.

Comunque, andiamo avanti e passiamo al terzo vizio: il gioco d’azzardo. Questo è uno dei vizi più subdoli e pericolosi presenti nella società italiana. Non si tratta, infatti, semplicemente di un passatempo, di un hobby, ma di una vera e propria emergenza sociale che coinvolge milioni di persone e muove miliardi di euro ogni anno. L’Italia è uno dei Paesi europei con il maggior numero di luoghi, di posti, in cui si può giocare d’azzardo, tra tabaccai, sale scommesse, bar e locali, senza menzionare che i gratta e vinci si possono comprare letteralmente ovunque, anche nei supermercati. Il vizio del gioco assume diverse forme: c’è il classico gioco del Lotto, molto popolare tra gli anziani, poi i gratta e vinci, le scommesse sportive e le slot machine, che rappresentano la forma più grave di dipendenza. Infatti, anche qui, come il fumo e l’alcol, quando il gioco smette di essere una concessione, uno sfizio, insomma un semplice passatempo, diventa una vera e propria dipendenza, una di quelle dipendenze che non richiede l’uso di una sostanza. La dipendenza dal gioco prende il nome di “ludopatia” e, come il tabagismo e l’acolismo, è una vera e propria dipendenza, riconosciuta anche dal Servizio Sanitario Nazionale. I giocatori patologici sono persone che non riescono a fermarsi, non riescono a smettere di giocare, che sperano sempre nella “vincita che cambia la vita” e che, spesso, finiscono per rovinare se stessi e le proprie famiglie, economicamente e non solo, perdendo così tutto: soldi, famiglia, lavoro, casa, relazioni ecc.ecc. Le famiglie sono spesso le prime vittime collaterali di questa dipendenza; e ciò che è peggio è che tutto questo accade sotto gli occhi dello Stato, che è ben consapevole del problema, ma non interviene in nessun modo, anche perché i profitti, le entrate fiscali del settore del gioco sono altissime.

E questo è ironico perché, se lo Stato preferisce i guadagni che riceve grazie al gioco d’azzardo al bene del cittadino, il cittadino fa più o meno lo stesso, ricambia il favore attraverso un altro bel vizietto che hanno gli italiani. Sto parlando dell’evasione fiscale, uno dei vizi storici più radicati nella società italiana. Non si tratta solo di una questione economica, ma di un fenomeno culturale legato alla percezione che “fregare il fisco” sia, in fondo, un atto di furbizia. È un comportamento che coinvolge tutti: ricchi e poveri, artigiani e grandi imprenditori, liberi professionisti e colossi aziendali. L’evasione fiscale rappresenta una delle principali cause del debito pubblico e della scarsa equità sociale. Secondo recenti stime del Ministero dell’Economia, l’Italia perde ogni anno tra gli 86 e i 96 miliardi di euro a causa dell’evasione fiscale. Parliamo di soldi che potrebbero essere usati per qualsiasi cosa, letteralmente, visto che c’è tanto da sistemare, dalle grandi città ai borghi in via d’estinzione, dalle scuole ai trasporti, dalla sanità alle infrastrutture. Veramente, la lista è lunga. E invece, questi soldi, vengono sottratti, per così dire, alle casse dello stato da chi non paga l’IVA, da chi dichiara meno del dovuto, da chi lavora “in nero” , cioè senza contratto (spesso, però, non per colpa sua) ecc. ecc. Il problema, comunque, non è solo nei numeri. È nella mentalità. In Italia esiste una certa “tolleranza sociale” nei confronti dell’evasione fiscale: se un negoziante non rilascia lo scontrino o un idraulico propone uno sconto senza fattura, difficilmente gli viene fatto notare o gli viene chiesto di fare la fattura o lo scontrino. Anzi! Spesso viene considerato “furbo”. Secondo molti italiani, comunque, questo atteggiamento deriva anche da un senso di ingiustizia: molti cittadini guadagnano poco e pensano che lo Stato sprecherebbe le risorse pubbliche, i soldi pubblici, e che dunque non valga la pena contribuire lealmente. Certo, se la pensassimo tutti così sarebbe un problema, il sistema fiscale crollerebbe: lo Stato non potrebbe più garantire servizi essenziali come la sanità, l’istruzione o i trasporti pubblici, e alla fine a pagarne il prezzo sarebbero proprio i cittadini. Pagare le tasse è un peso, certo, non lo metto in dubbio, ma è un atto di responsabilità civica, un modo per contribuire al bene comune. Dopotutto viviamo in una società e non possiamo fare come ci pare. Comunque, la lotta all’evasione è complessa perché richiede sia controlli più efficaci, sia un cambiamento culturale e mentale. Infatti, un cittadino che non crede, che non ha fiducia nello Stato, è difficile che senta il dovere di pagare le tasse. Ma l’Italia, ahimè, è anche questo: un Paese in cui, molto spesso, l’interesse personale prevale su quello collettivo.

E questo è visibile anche in un altro vizio all’italiana: la raccomandazione. Magari ne hai già sentito parlare: in pratica, è quando una persona ottiene un lavoro, un posto o un incarico importante non perché è brava e se lo merita, ma perché qualcuno di “importante”, di “influente” la presenta al capo e la “spinge”. È una sorta di istituzione, segreta e parallela alla classica, che regola l’accesso a posti di lavoro, ai concorsi pubblici, agli incarichi accademici, e alle carriere politiche. In Italia parliamo spesso di “conoscenze” e “spinte”, due termini che indicano un sistema in cui conoscere qualcuno di influente è più importante dell’essere competente, perché quella persona influente può darti una spinta, può spingerti verso ciò che desideri, può aiutarti a saltare la fila, a superare gli altri, e a entrare in un posto dove magari non saresti arrivato con le tue forze. Questo vizio è particolarmente presente nel settore pubblico, dove la percezione comune è che molti concorsi o selezioni siano già “decisi in partenza”, che già si sappia chi sarà il vincitore, insomma. Magari un parente di qualcuno nella giuria o nella commissione. Purtroppo la raccomandazione è vista da molti come una scorciatoia in un Paese dove le opportunità sono molto scarse, dove “se non conosci nessuno, se non ricevi una spinta, non vai da nessuna parte”. Questo modo di pensare ovviamente mette in pericolo la meritocrazia, le speranze e l’autostima di tanti. Senza contare che le conseguenze della raccomandazione sono gravissime: le aziende e le istituzioni rischiano di perdere talento e innovazione, scegliendo persone “raccomandate” invece di persone preparate. E chi ci rimette siamo tutti noi, perché a guidare un ufficio, un ospedale o un’università magari non è la persona migliore o più preparata, ma quella raccomandata.

E che cosa fa rima con “raccomandazione”? Beh, la parola “corruzione”. La corruzione è un fenomeno che tocca e avvelena tutto: la politica, le imprese, la pubblica amministrazione e l’istruzione. In poche parole, la democrazia. Quando si parla di corruzione, in Italia, è difficile non pensare agli scandali che hanno segnato la storia recente del Paese, come Tangentopoli, il nome con cui è passato alla storia uno dei più grandi scandali di corruzione politica della storia italiana. Il termine deriva da tangente, cioè una “mazzetta”, una somma di denaro data illegalmente in cambio di favori, appalti o concessioni. Per farla breve: nel 1992, un magistrato di Milano, Antonio Di Pietro, ha arrestato Mario Chiesa, un politico del Partito Socialista. Questo arresto ha dato il via a una serie di indagini, conosciute come “inchiesta Mani Pulite”, che hanno portato alla luce un sistema di corruzione tra politici, imprenditori e funzionari pubblici. In pratica, molte aziende private pagavano tangenti (o “mazzette”, che abbiamo detto essere soldi in cambio di favori, insomma) ai partiti o ai politici per ottenere appalti pubblici o favori amministrativi. Che cos’è un appalto? Un appalto è quando lo Stato o un ente pubblico (come un comune, una regione, ecc.ecc.) deve fare un lavoro, ad esempio costruire una strada o ristrutturare una scuola, e chiede a delle aziende private di candidarsi per farlo. In pratica, è come se lo Stato dicesse: “Ho bisogno che qualcuno faccia questo lavoro. Chi è disponibile? E quanto mi costa?”. Le aziende interessate presentano la loro offerta, e poi lo Stato sceglie quella che sembra migliore. In teoria, gli appalti pubblici dovrebbero funzionare in modo trasparente: lo Stato dovrebbe scegliere l’azienda migliore, cioè quella che offre il lavoro al prezzo più conveniente e con la qualità migliore. Ma negli anni ’80 e ’90, in Italia, spesso non funzionava così. Durante Tangentopoli, è emerso che molte aziende private pagavano tangenti (cioè, di nuovo, soldi “sotto banco”, di nascosto) a politici e funzionari pubblici per vincere gli appalti. In pratica, invece di competere onestamente, compravano il favore di chi decideva chi avrebbe fatto il lavoro. Quindi, l’appalto diventava una scusa per fare soldi illegalmente: l’azienda privata diceva al politico “se mi dai il lavoro, ti do un po’ di soldi”;lo Stato, allora, sotto consiglio del politico, assumeva l’azienda privata e la pagava con i soldi pubblici, e il politico che aveva “raccomandato” l’azienda privata ci guadagnava qualche soldino. L’inchiesta ha avuto effetti enormi: più di 6000 persone sono state indagate e circa 1233 arrestate; interi partiti sono crollati, e si è chiusa un’intera epoca politica, quella della cosiddetta Prima Repubblica. Se ti interessa, cerca la vicenda su Google.

Comunque la corruzione non ha a che fare solo coi politici: è un fenomeno molto più diffuso e sottile, che entra anche nella vita quotidiana delle persone comuni. Secondo un rapporto dell’ISTAT pubblicato nel 2024, quasi 1 famiglia su 100, in Italia, ha ricevuto almeno una richiesta di denaro o favori in cambio di facilitazioni: in poche parole, pagando, una persona magari può fare una visita medica molto prima rispetto al giorno del suo appuntamento, o anche una pratica all’ufficio pubblico, o magari più ottenere un voto più alto all’università. E, viceversa, a molti cittadini sono stati anche offerti soldi in cambio del voto per un candidato politico. Comunque, secondo un report dell’ISTAT, la corruzione è in calo in Italia. Quindi… menomale. Continuiamo così. Cerchiamo di migliorarci!

I vizi di cui abbiamo parlato oggi comunque non sono solo vizi italiani. Ogni Paese ha i suoi problemi: non esiste un Paese perfetto. E vivere in una società, in una comunità, significa anche questo: sviluppare, nel tempo, vizi e difetti. Fa parte dell’essere umano, del nostro modo di vivere e convivere con gli altri. Quindi spero di non aver rovinato l’immagine che avevi dell’Italia, magari di “Paese perfetto”. Nessuno è perfetto! Comunque, ora tocca a te: fammi sapere in un commento, su Spotify o Apple Podcast, o sul nostro sito, podcastitaliano.com, quali sono i vizi più diffusi nel tuo Paese e quali vizi “italiani”, per così dire, ti hanno scioccato di più. L’episodio finisce qui, io spero ti sia piaciuto e, se è così, ti invito a valutare Podcast Italiano, sull’app che usi per ascoltarci, con 5 stelle. E, se ti va, condividi l’episodio con amici e familiari, se capiscono l’italiano bene come te. Ti saluto e ti ringrazio, alla prossima. Ciao!

Ho un brutto vizio: mi piace osservare i vizi degli altri. Lo so, non è molto elegante, però mi affascina vedere come certe abitudini, anche quelle più brutte, dicano molto di noi e del nostro modo di vivere. E poi, quando si parla di vizi… beh, noi italiani ne abbiamo una bella collezione. C’è chi non resiste al caffè, chi non riesce a smettere di fumare, chi sogna di diventare milionario grattando un gratta e vinci, giocando alle slot machine o al lotto. Poi c’è chi beve alcool come fosse acqua, chi non paga le tasse e anche chi raccomanda o corrompe sul lavoro. E questi sono solo alcuni dei vizi degli italiani. In quest’episodio, infatti, passeremo in rassegna i vizi più diffusi tra gli italiani. Non per giudicare, eh, ma per capire. Perché dietro ogni vizio c’è una spiegazione, magari psicologica, ma spesso anche culturale.

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Trascrizione interattiva dell'episodio

Ciao e benvenuto, o benvenuta, a un nuovo episodio di livello intermedio di Podcast Italiano. Io sono Irene e questo è un podcast per imparare l'italiano attraverso contenuti interessanti. Come sempre, quest’episodio è accompagnato da una trascrizione gratuita con glossario che contiene la spiegazione di tutte le parole difficili che userò. Ti consiglio di consultarlo, sia il glossario che la trascrizione, perché sono strumenti super utili, soprattutto se vuoi imparare l’italiano senza sforzo. Allora ti lascio il link alla trascrizione nelle note di questo episodio, che trovi nell'app che stai usando per ascoltarmi. Piccola parentesi: perdona la mia voce, è molto bassa, ma sono stata ad una festa e ho cantato a squarciagola. Quindi stamattina ho pochissima voce.

Ora, torniamo a noi: oggi parliamo di un argomento un po’ controverso, un po’ provocatorio, ma anche molto interessante, cioè i vizi degli italiani. Perché sì, anche se gli italiani sono famosi soprattutto per essere affascinanti, stilosi, passionali e simpatici, hanno anche tanti difetti e vizi. E poi, ogni tanto è bene fare un piccolo esercizio di autocritica, e capire quali sono quei difetti, quelle abitudini sbagliate o quei tratti culturali che, nel bene o nel male (come in questo caso), ci caratterizzano. Ovviamente, non si tratta di un attacco agli italiani, io stessa sono italiana, ma piuttosto di un’occasione per riflettere e far conoscere meglio, a te che ascolti, gli abitanti del Paese che tanto ti piace.

Iniziamo da un vizio che, sicuramente, se sei stato o stata in Italia, avrai notato: il fumo. In Europa si fuma tanto, questo si sa, e in Italia, in particolare, il vizio del fumo è uno dei più diffusi e radicati nella società, nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione e le restrizioni legislative degli ultimi decenni. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, circa il 24% della popolazione adulta italiana è fumatrice, e i fumatori sono soprattutto uomini. Praticamente almeno una persona su quattro ogni giorno fuma sigarette, sigari, tabacco trinciato o la sigaretta elettronica. Devo dire che il fumo è spesso visto in Italia come una forma di abitudine sociale: fuori dai bar, nei cortili delle scuole, davanti ai locali o durante le pause di lavoro, si fuma per socializzare, per rilassarsi, per trovare un momento di pausa dallo stress quotidiano. È visto come una specie di rituale condiviso, che crea connessione tra le persone. Questo vale soprattutto per i gruppi di amici, tra colleghi o nei contesti informali, dove spesso la sigaretta diventa un mezzo per “rompere il ghiaccio”. Infatti, purtroppo, sono molti gli adolescenti che iniziano a fumare molto presto, spesso già a partire dai 14 anni. Lo fanno spesso per imitazione o per pressione sociale. La leggerezza con cui i giovani italiani si avvicinano al fumo è davvero allarmante, soprattutto considerando che spesso non hanno una reale consapevolezza dei danni a lungo termine. È comunissimo vedere ragazzi che fumano nei cortili delle scuole superiori, quindi dai 14 anni in su, ma spesso succede anche nelle scuole medie.

Pensa che, fino a tempi relativamente recenti, in Italia si poteva fumare nei locali pubblici al chiuso, come bar, ristoranti e persino uffici. Il divieto di fumo è entrato in vigore solo il 10 gennaio 2005, con la cosiddetta legge Sirchia, che ha finalmente introdotto il divieto di fumo in tutti i locali chiusi, per proteggere i non fumatori dal fumo passivo. Prima di questa legge, il divieto di fumare era già stato introdotto nel 1975, ma solo per alcuni luoghi pubblici specifici, come le corsie degli ospedali, le aule scolastiche e i mezzi di trasporto pubblico. A quanto pare, all’epoca, questo divieto fu un cambiamento culturale grandissimo, che inizialmente venne accolto con scetticismo. Oggi, fortunatamente, le persone sono più consapevoli dei danni del fumo, sia attivo che passivo, e c’è maggiore attenzione verso i non fumatori. Comunque, nonostante tutto, il fumo resta un problema sanitario e culturale gravissimo. I numeri parlano chiaro: secondo il Ministero della Salute, ogni anno in Italia muoiono circa 94.000 persone a causa di malattie collegate al fumo. Parliamo di persone che conoscono i rischi che corrono, ma che sono totalmente assuefatte, mentalmente e fisicamente, che non riescono a smettere. D’altronde, qui parliamo di un vizio che è anche una dipendenza.

Ma cosa c’è di meglio che fumarsi una sigaretta mentre si beve un bel bicchiere di vino? Infatti, un altro vizio molto presente in Italia è quello dell’alcol. In Italia l’alcol è considerato parte integrante della vita quotidiana, proprio come il fumo. Ed è proprio questa “normalità” a rendere difficile riconoscere i segnali di un consumo problematico. L’alcol in Italia non è solo una bevanda: è un simbolo culturale, una tradizione. C’è chi beve un bicchiere di vino a tavola, chi un amaro dopo i pasti, chi uno spritz all’aperitivo, e chi un bel caffè corretto la mattina. Tutto questo sembra innocuo, e spesso lo è, se fatto con moderazione. Ma il problema nasce quando si supera quella soglia sottile che separa il consumo occasionale dall’abuso. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), circa 8 milioni di italiani bevono alcol in maniera rischiosa, e oltre 800.000 hanno un comportamento di tipo alcol-dipendente.

I dati più preoccupanti riguardano i giovani, fra i quali l’abuso di alcol, soprattutto nel fine settimana, è diventato una vera emergenza. Ragazzi e ragazze, anche molto giovani, iniziano a bere per sentirsi accettati, più grandi o più interessanti, insomma, per superare l’insicurezza sociale, con conseguenze spesso gravi, tra cui incidenti stradali, coma etilico e dipendenza. Gli esperti parlano di “abusatori periodici”: giovani che non bevono moderatamente perché, magari, gli piace il sapore dell’alcol, ma solo in modo esagerato e solo il sabato sera, proprio con lo scopo di ubriacarsi. Va anche detto che in Italia il livello di controlli nei locali non è per niente all’altezza del problema: in teoria, chi vende alcol dovrebbe chiedere un documento di identità, a meno che l’età dell’acquirente non sia chiaramente superiore ai 18 anni. Ma, in pratica, purtroppo, molti esercenti o barman ignorano il divieto o chiudono un occhio, specialmente nei locali notturni frequentati da giovani.

Comunque l’alcol non è un problema che riguarda solo i giovani. Un’altra realtà, spesso invisibile o ignorata, è quella delle persone senza fissa dimora, che vivono in condizioni di estrema fragilità, sociale ed economica. In Italia, soprattutto nelle grandi città del Centro, come Roma, e del Sud in generale, molti di questi senzatetto, spesso stranieri, ma non solo, fanno uso di alcol in maniera pesante e continuativa. È importante trattare questo tema con delicatezza e rispetto, evitando giudizi superficiali. Per molte persone che vivono in strada, l’alcol diventa un rifugio: un modo per affrontare il freddo, l’isolamento, la fame, ma anche il dolore, fisico o emotivo, e la perdita della dignità. Spesso queste persone hanno vissuto eventi traumatici, quindi, in questi casi, non so se parlare di “vizio” sia del tutto corretto.

Comunque, andiamo avanti e passiamo al terzo vizio: il gioco d’azzardo. Questo è uno dei vizi più subdoli e pericolosi presenti nella società italiana. Non si tratta, infatti, semplicemente di un passatempo, di un hobby, ma di una vera e propria emergenza sociale che coinvolge milioni di persone e muove miliardi di euro ogni anno. L’Italia è uno dei Paesi europei con il maggior numero di luoghi, di posti, in cui si può giocare d’azzardo, tra tabaccai, sale scommesse, bar e locali, senza menzionare che i gratta e vinci si possono comprare letteralmente ovunque, anche nei supermercati. Il vizio del gioco assume diverse forme: c’è il classico gioco del Lotto, molto popolare tra gli anziani, poi i gratta e vinci, le scommesse sportive e le slot machine, che rappresentano la forma più grave di dipendenza. Infatti, anche qui, come il fumo e l’alcol, quando il gioco smette di essere una concessione, uno sfizio, insomma un semplice passatempo, diventa una vera e propria dipendenza, una di quelle dipendenze che non richiede l’uso di una sostanza. La dipendenza dal gioco prende il nome di “ludopatia” e, come il tabagismo e l’acolismo, è una vera e propria dipendenza, riconosciuta anche dal Servizio Sanitario Nazionale. I giocatori patologici sono persone che non riescono a fermarsi, non riescono a smettere di giocare, che sperano sempre nella “vincita che cambia la vita” e che, spesso, finiscono per rovinare se stessi e le proprie famiglie, economicamente e non solo, perdendo così tutto: soldi, famiglia, lavoro, casa, relazioni ecc.ecc. Le famiglie sono spesso le prime vittime collaterali di questa dipendenza; e ciò che è peggio è che tutto questo accade sotto gli occhi dello Stato, che è ben consapevole del problema, ma non interviene in nessun modo, anche perché i profitti, le entrate fiscali del settore del gioco sono altissime.

E questo è ironico perché, se lo Stato preferisce i guadagni che riceve grazie al gioco d’azzardo al bene del cittadino, il cittadino fa più o meno lo stesso, ricambia il favore attraverso un altro bel vizietto che hanno gli italiani. Sto parlando dell’evasione fiscale, uno dei vizi storici più radicati nella società italiana. Non si tratta solo di una questione economica, ma di un fenomeno culturale legato alla percezione che “fregare il fisco” sia, in fondo, un atto di furbizia. È un comportamento che coinvolge tutti: ricchi e poveri, artigiani e grandi imprenditori, liberi professionisti e colossi aziendali. L’evasione fiscale rappresenta una delle principali cause del debito pubblico e della scarsa equità sociale. Secondo recenti stime del Ministero dell’Economia, l’Italia perde ogni anno tra gli 86 e i 96 miliardi di euro a causa dell’evasione fiscale. Parliamo di soldi che potrebbero essere usati per qualsiasi cosa, letteralmente, visto che c’è tanto da sistemare, dalle grandi città ai borghi in via d’estinzione, dalle scuole ai trasporti, dalla sanità alle infrastrutture. Veramente, la lista è lunga. E invece, questi soldi, vengono sottratti, per così dire, alle casse dello stato da chi non paga l’IVA, da chi dichiara meno del dovuto, da chi lavora “in nero” , cioè senza contratto (spesso, però, non per colpa sua) ecc. ecc. Il problema, comunque, non è solo nei numeri. È nella mentalità. In Italia esiste una certa “tolleranza sociale” nei confronti dell’evasione fiscale: se un negoziante non rilascia lo scontrino o un idraulico propone uno sconto senza fattura, difficilmente gli viene fatto notare o gli viene chiesto di fare la fattura o lo scontrino. Anzi! Spesso viene considerato “furbo”. Secondo molti italiani, comunque, questo atteggiamento deriva anche da un senso di ingiustizia: molti cittadini guadagnano poco e pensano che lo Stato sprecherebbe le risorse pubbliche, i soldi pubblici, e che dunque non valga la pena contribuire lealmente. Certo, se la pensassimo tutti così sarebbe un problema, il sistema fiscale crollerebbe: lo Stato non potrebbe più garantire servizi essenziali come la sanità, l’istruzione o i trasporti pubblici, e alla fine a pagarne il prezzo sarebbero proprio i cittadini. Pagare le tasse è un peso, certo, non lo metto in dubbio, ma è un atto di responsabilità civica, un modo per contribuire al bene comune. Dopotutto viviamo in una società e non possiamo fare come ci pare. Comunque, la lotta all’evasione è complessa perché richiede sia controlli più efficaci, sia un cambiamento culturale e mentale. Infatti, un cittadino che non crede, che non ha fiducia nello Stato, è difficile che senta il dovere di pagare le tasse. Ma l’Italia, ahimè, è anche questo: un Paese in cui, molto spesso, l’interesse personale prevale su quello collettivo.

E questo è visibile anche in un altro vizio all’italiana: la raccomandazione. Magari ne hai già sentito parlare: in pratica, è quando una persona ottiene un lavoro, un posto o un incarico importante non perché è brava e se lo merita, ma perché qualcuno di “importante”, di “influente” la presenta al capo e la “spinge”. È una sorta di istituzione, segreta e parallela alla classica, che regola l’accesso a posti di lavoro, ai concorsi pubblici, agli incarichi accademici, e alle carriere politiche. In Italia parliamo spesso di “conoscenze” e “spinte”, due termini che indicano un sistema in cui conoscere qualcuno di influente è più importante dell’essere competente, perché quella persona influente può darti una spinta, può spingerti verso ciò che desideri, può aiutarti a saltare la fila, a superare gli altri, e a entrare in un posto dove magari non saresti arrivato con le tue forze. Questo vizio è particolarmente presente nel settore pubblico, dove la percezione comune è che molti concorsi o selezioni siano già “decisi in partenza”, che già si sappia chi sarà il vincitore, insomma. Magari un parente di qualcuno nella giuria o nella commissione. Purtroppo la raccomandazione è vista da molti come una scorciatoia in un Paese dove le opportunità sono molto scarse, dove “se non conosci nessuno, se non ricevi una spinta, non vai da nessuna parte”. Questo modo di pensare ovviamente mette in pericolo la meritocrazia, le speranze e l’autostima di tanti. Senza contare che le conseguenze della raccomandazione sono gravissime: le aziende e le istituzioni rischiano di perdere talento e innovazione, scegliendo persone “raccomandate” invece di persone preparate. E chi ci rimette siamo tutti noi, perché a guidare un ufficio, un ospedale o un’università magari non è la persona migliore o più preparata, ma quella raccomandata.

E che cosa fa rima con “raccomandazione”? Beh, la parola “corruzione”. La corruzione è un fenomeno che tocca e avvelena tutto: la politica, le imprese, la pubblica amministrazione e l’istruzione. In poche parole, la democrazia. Quando si parla di corruzione, in Italia, è difficile non pensare agli scandali che hanno segnato la storia recente del Paese, come Tangentopoli, il nome con cui è passato alla storia uno dei più grandi scandali di corruzione politica della storia italiana. Il termine deriva da tangente, cioè una “mazzetta”, una somma di denaro data illegalmente in cambio di favori, appalti o concessioni. Per farla breve: nel 1992, un magistrato di Milano, Antonio Di Pietro, ha arrestato Mario Chiesa, un politico del Partito Socialista. Questo arresto ha dato il via a una serie di indagini, conosciute come “inchiesta Mani Pulite”, che hanno portato alla luce un sistema di corruzione tra politici, imprenditori e funzionari pubblici. In pratica, molte aziende private pagavano tangenti (o “mazzette”, che abbiamo detto essere soldi in cambio di favori, insomma) ai partiti o ai politici per ottenere appalti pubblici o favori amministrativi. Che cos’è un appalto? Un appalto è quando lo Stato o un ente pubblico (come un comune, una regione, ecc.ecc.) deve fare un lavoro, ad esempio costruire una strada o ristrutturare una scuola, e chiede a delle aziende private di candidarsi per farlo. In pratica, è come se lo Stato dicesse: “Ho bisogno che qualcuno faccia questo lavoro. Chi è disponibile? E quanto mi costa?”. Le aziende interessate presentano la loro offerta, e poi lo Stato sceglie quella che sembra migliore. In teoria, gli appalti pubblici dovrebbero funzionare in modo trasparente: lo Stato dovrebbe scegliere l’azienda migliore, cioè quella che offre il lavoro al prezzo più conveniente e con la qualità migliore. Ma negli anni ’80 e ’90, in Italia, spesso non funzionava così. Durante Tangentopoli, è emerso che molte aziende private pagavano tangenti (cioè, di nuovo, soldi “sotto banco”, di nascosto) a politici e funzionari pubblici per vincere gli appalti. In pratica, invece di competere onestamente, compravano il favore di chi decideva chi avrebbe fatto il lavoro. Quindi, l’appalto diventava una scusa per fare soldi illegalmente: l’azienda privata diceva al politico “se mi dai il lavoro, ti do un po’ di soldi”;lo Stato, allora, sotto consiglio del politico, assumeva l’azienda privata e la pagava con i soldi pubblici, e il politico che aveva “raccomandato” l’azienda privata ci guadagnava qualche soldino. L’inchiesta ha avuto effetti enormi: più di 6000 persone sono state indagate e circa 1233 arrestate; interi partiti sono crollati, e si è chiusa un’intera epoca politica, quella della cosiddetta Prima Repubblica. Se ti interessa, cerca la vicenda su Google.

Comunque la corruzione non ha a che fare solo coi politici: è un fenomeno molto più diffuso e sottile, che entra anche nella vita quotidiana delle persone comuni. Secondo un rapporto dell’ISTAT pubblicato nel 2024, quasi 1 famiglia su 100, in Italia, ha ricevuto almeno una richiesta di denaro o favori in cambio di facilitazioni: in poche parole, pagando, una persona magari può fare una visita medica molto prima rispetto al giorno del suo appuntamento, o anche una pratica all’ufficio pubblico, o magari più ottenere un voto più alto all’università. E, viceversa, a molti cittadini sono stati anche offerti soldi in cambio del voto per un candidato politico. Comunque, secondo un report dell’ISTAT, la corruzione è in calo in Italia. Quindi… menomale. Continuiamo così. Cerchiamo di migliorarci!

I vizi di cui abbiamo parlato oggi comunque non sono solo vizi italiani. Ogni Paese ha i suoi problemi: non esiste un Paese perfetto. E vivere in una società, in una comunità, significa anche questo: sviluppare, nel tempo, vizi e difetti. Fa parte dell’essere umano, del nostro modo di vivere e convivere con gli altri. Quindi spero di non aver rovinato l’immagine che avevi dell’Italia, magari di “Paese perfetto”. Nessuno è perfetto! Comunque, ora tocca a te: fammi sapere in un commento, su Spotify o Apple Podcast, o sul nostro sito, podcastitaliano.com, quali sono i vizi più diffusi nel tuo Paese e quali vizi “italiani”, per così dire, ti hanno scioccato di più. L’episodio finisce qui, io spero ti sia piaciuto e, se è così, ti invito a valutare Podcast Italiano, sull’app che usi per ascoltarci, con 5 stelle. E, se ti va, condividi l’episodio con amici e familiari, se capiscono l’italiano bene come te. Ti saluto e ti ringrazio, alla prossima. Ciao!

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